martedì 25 agosto 2015

SAN GIOVANNI, LE SUE MONTAGNE E QUEL PALLONE CHE NON ROTOLA PIU'



Sono tante le luci della Calabria Greca, talmente tante che a guardarle bene, quasi ti sfuggono le ombre, insomma, corri il rischio di sembrare di parte, poi guardi meglio e ti accorgi che con un occhio più attento, anche le seconde vengono a galla, lasciando una scia dal colore indefinito e dal gusto inconfondibilmente amaro. L’altro giorno scendevo giù dalla montagna lungo la strada che porta al paese, quando arrivato nei pressi del campo sportivo, su quella sella naturale, unico accesso alla montagna che i bovesi chiamano San Giovanni, mi sono fermato, attirato da un silenzio che a volte sembra richiamare la tua attenzione più di qualsiasi altro frastuono. 
Parcheggiato lo scooter mi sono diretto verso la tribuna coperta, dove dopo essere salito in cima mi sono seduto ad ammirare quelle montagne dal sapore familiare, e poi lo Ionio e sullo sfondo la sagoma dell’Etna. A farmi compagnia su quei gradoni, solo lo scampanio dei collari delle capre, sospese come sempre quasi a sfidare la fisica, giù tra i dirupi e con loro solo il rumore degli alberi mossi da un insolito vento, un’atmosfera di fine estate che di colpo mi ha fatto tornare in mente come in un flash un trentennio di ricordi. Il primo, non so perché, è stato quello di un bosco di eucalipto in un’atmosfera di inizio primavera, una di tanti anni fa, una storia che mi ricorda un pallone finito i fondo alla rete e poi di seguito, caroselli di clacson, maglie e bandiere fuori dai finestrini, volti sorridenti e un’interminabile serie di curve, quelle che facevamo per scendere e risalire a Bova, dove quella sera ci aspettavano la capra bollita, il formaggio, i salumi, l’organetto ed il tamburello. Torniamo per un attimo a quel bosco di eucalipto, a Benestare, nel cuore della locride, in quell’inizio di primavera di 28 anni fa si scriveva l’ultimo capitolo di una cavalcata trionfale, l’Associazione Calcio Bova approdava ufficialmente in seconda categoria ad otto anni dalla sua fondazione. Deve averne messa di forza Nunzio Siviglia per calciare quella palla da metà campo a chiudere un rovesciamento di fronte che vedeva come ultimo baluardo solo il portiere avversario. Era la ciliegina sulla torta, il suggello su un’annata storica conclusa con la vittoria del campionato che, a dire il vero la matematica ci aveva consegnato già quindici giorni prima nell’acquitrino di Africo. L’ostacolo da superare in quella occasione era il Samo, migrato sulla costa per indisponibilità del campo di casa. L’1 a 2 finale frantumava le speranze del Portigliola, unica inseguitrice, dando il via alla festa. Tre pareggi e per il resto solo vittorie, un record che su a Bova qualcuno ricorda ancora con orgoglio e di quei tre pareggi ne ricordo uno in particolare, peraltro l’unico in casa, manco a farlo a posta proprio col Benestare nella gara di andata. Il comunale quel giorno era avvolto da una nebbia che aveva messo più volte a rischio lo svolgimento della gara e dopo dieci minuti della ripresa, tra l’incredulità generale eravamo sotto di ben tre reti, nessuno, neanche i più ottimisti avrebbero immaginato che al termine dei novanta minuti ci saremmo trovati sul 3-3 e l’incredulità crebbe ancora quando al ’94 l’arbitro fischiava un calcio di rigore a nostro favore. Se quella sfera fosse finita in rete anziché al lato, avremmo davvero gridato al miracolo, ma forse per i poveri ragazzi di Benestare sarebbe stato davvero troppo.

Cronache e tabellini a parte, buoni solo per gli amanti dell’amarcord, c’è una cosa che va doverosamente sottolineata, per il piccolo centro aspromontano, la squadra di calcio locale ha assunto negli anni un significato che non può certo essere ridotto a semplice questione agonistica, ne era da sempre convinto il sindaco Pasquale Foti, che continuava a ripeterlo da quel lontano 1979, da quando cioè, a tutti i costi, vincendo la ritrosia e le facili ironie dei più scettici aveva insistito perché anche Bova avesse la sua squadra di calcio, non solo un’occasione di confronto sportivo diceva Pino Foti, come erano soliti chiamarlo gli amici più stretti, molto di più per un centro sempre al bivio tra la vita e la morte, un’occasione di ribalta sportiva ma anche e soprattutto una di socializzazione e di incontro, col campo sportivo che diventa appuntamento irrinunciabile per gli amanti del calcio e non solo, ed aveva proprio ragione il sindaco Foti, quelle maglie bianco verdi hanno rappresentato per anni un momento di incontro e socializzazione, quel campo di fronte alle montagne ha regalato pagine di vita e di sport che molti non dimenticheranno. È durata 31 anni la storia dell’A.C. Bova, una storia lunga che ha visto alternarsi momenti esaltanti ad altri di anonimato, fino alla stagione 2005/06, anno della seconda storica promozione.
Dopo di allora, altri quattro anni di attività sportiva, poi di colpo, il vuoto. E proprio al vuoto ripensavo l’altro giorno seduto su quella tribuna deserta, col vento che, ad averli, mi avrebbe scompigliato di sicuro i capelli, pensavo al vuoto ed al silenzio che mi stavano avvolgendo e che avvolgevano quel campo da ormai troppo tempo. Il calcio da qualche anno a Bova non c’è più e guardare quel campo teatro di tante pagine di storia non solo sportiva, oggi desolatamente deserto, mi ha messo addosso una certa tristezza, suggerendomi allo stesso tempo anche qualche riflessione. Lo sport, verrebbe da dire, vive un momento di crisi generalizzata, e di questo non ne facciamo mistero, vittima di una disaffezione collettiva non so fino a che punto giustificabile e non so bene a cosa ascrivibile, ma a Bova ed in luoghi come questo, lo dicevamo poco fa, lo sport ha diversi obiettivi, la cui assenza è di certo non facilmente sostituibile. Penso spesso a quella tribuna piena di gente che attende l’uscita dei ragazzi dagli spogliatoi, penso a quei caroselli di tanti anni fa e a quei volti, molti dei quali oggi non sono più con noi, penso soprattutto a quella pazza idea di Pino Foti e a quella sua eccezionale intuizione carica di voglia di vivere, e mentre rifletto su tutto questo rivisitando nelle mente le immagini di mezza vita, penso anche che sarebbe davvero bello rivedere quelle tribune riempirsi di nuovo, sarebbe un’occasione per riaccendere la passione, per restituire allo sport quel valore di aggregazione di cui, realtà come le nostre necessitano in modo forte, sarebbe altrettanto bello poter regalare ai più giovani certe emozioni, forse anche per regalare a noi stessi la gioia di vederli ancora correre dietro un pallone che rotola sulla neve prima di finire in rete.

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