domenica 5 marzo 2023

FILOXENIA. NEL LAVORO DI PATRIZIA GIANCOTTI L'ESSENZA DEI GRECI DI CALABRIA


 

Filoxenìa è il titolo di un lavoro di ricerca documentale e fotografica sulla Calabria greca curato da Patrizia Giancotti. Antropologa, fotografa, giornalista, autrice e conduttrice radiofonica, che ultimamente ho riscoperto con maggiore attenzione cogliendone aspetti nuovi. Una rilettura attenta, meno veloce, più consapevole mi ha consentito di riprendere i temi principali di un lavoro che l’ha vista impegnata ad approfondire la conoscenza dei nostri luoghi, di cose e persone da leggere nel profondo. Filoxenìa, suona bene questo termine greco, con quella sua inflessione morbida e accomodante che vuole significare amore per il forestiero, senso vivo di accoglienza. Sono stati mesi intensi i suoi, vissuti tra Bova e Roccaforte del Greco, passando per Gallicianò e Roghudi nel cuore della grecità calabrese, un tempo valso a partorire un'opera preziosa, ben al di là della già importante cifra stilistica, non fosse altro che per il merito di aver cristallizzato quanto ancora rimane di un piccolo mondo antico offrendo al lettore una chiave interpretativa antropologica e prima ancora umana di una realtà apparentemente semplice ed invece assai complessa, difficilissima da decodificare. Il titolo completo di questo lavoro edito da Rubbettino è: "Filoxenia, l'accoglienza tra i Greci di Calabria", una ricerca che prende in esame aspetti geografici e culturali attraverso l’analisi di singoli profili, come nel caso di Pasquale, uno dei personaggi certamente più interessanti su cui la Giancotti ha posto la sua lente. Pasquale Romeo è un ragazzo di Bova con alle spalle anche una breve ed estemporanea esperienza cinematografica. È importante l’analisi della figura di Pasquale perché incarna l’evoluzione di una terra dove vecchio e nuovo, tradizione e modernità sembrano convivere, dove uomo e natura si amano e si odiano in un continuum scandito dall’alternarsi delle stagioni. Patrizia Giancotti lo descrive così. "La Calabria Greca - dice - è terra di uomini ospitali, nella pienezza del senso omerico. Per mesi ho percorso quei territori, impegnata in una ricerca sul campo dove ho visto medici, professori, fabbri, massaie, suonatori di lira, zampogna e organetto, pastori. Pasquale ad esempio è un giovane di Bova poco più che trentenne, che dopo un'esperienza come attore nel Film Anime Nere di Francesco Munzi, girato proprio tra Bova ed Africo, è tornato alla sua quotidianità. Il suo stazzo è molto in alto, in verticale lo strapiombo diventa precipizio fiorito che porta al fiume, la vista da capogiro arriva fino al mare. Non c'è niente in piano, è difficile persino camminare eppure lo vedo come da un aereo in volo, correre giù dietro le capre col bastone dei padri e i piedi alati. Al red carpet calpestato a Venezia ha continuato a preferire la verticalità di questi scoscendimenti, dove il suono delle capre si fonde con quello della natura risvegliata e dove anche il profumo del vento, il fiume, il lupo, la pietra, il fiore, l'uomo e il mare laggiù sono uniti nella stessa partitura"

È una terra bella, affascinante, a tratti misteriosa e ancora arcaica quella dei Greci di Calabria, un caleidoscopio in cui rintracci tante cose, montagne che si tuffano a mare, il grigio quarzo delle pietre che lascia spazio al rosso dei tramonti, ma soprattutto quell'antico idioma unico al mondo, primo riferimento ad una cultura che si perde nei secoli. Il continuo richiamo all’elemento greco lo si ritrova anche nella musica, nelle occasioni corali come i lutti o le feste, nel senso di ospitalità ancora vivo. Mi ha molto colpito il viaggio di Patrizia Giancotti, forse per la necessità di leggere la mia terra da una prospettiva differente, perché spesso per leggere i luoghi, le persone e gli eventi a te più vicini è necessario osservarli da altre prospettive, per questo ho sempre creduto nel valore del viaggio che ti libera da vincoli e legami che offuscano una capacità di lettura imparziale. Filoxenìa regala al forestiero uno spaccato fedele di una realtà che ancora resiste. Regala allo stesso tempo anche ai Greci di Calabria un’occasione di guardarsi allo specchio, una visione altra ed imparziale. È ricco di una straordinaria carica emozionale Filoxenìa che fa cogliere il suo senso più vero forse proprio in quella dicotomia regalata dalla descrizione di Pasquale, dei suoi piedi alati, del bastone dei padri e di quel tappeto rosso che nulla ha potuto dinnanzi al richiamo della terra madre. Certo nella scelta più o meno consapevole di Pasquale gioca un ruolo fondamentale la presenza permeante di un corredo genetico ben preciso che spinge al di là del calcolo, della logica, al di là del richiamo di sirene più o meno lontane. In quella scelta, non sappiamo quanto consapevole, ci piace leggere la metafora di un piccolo mondo antico che rimane aggrappato alle rocce della sua montagna, guardando con rispetto ma sempre con bonario distacco un mare oggi forse solo idealmente più vicino.

sabato 25 febbraio 2023

SI SCRIVE POLIS SI LEGGE RESTANZA. PRENDE FORMA L'IMPEGNO DI POSTE ITALIANE IN FAVORE DEI PICCOLI CENTRI CALABRESI

 

Nuova vita per gli uffici postali calabresi, specie per quelli periferici. Col progetto Polis, Poste Italiane sposa infatti il culto della restanza poggiando idealmente la matita sul foglio e ridisegnando la mappa dei servizi in un entroterra dove la bandiera bianca sventola ormai da troppo tempo. Sta nella chiusura dei servizi fondamentali la più lucida metafora di un mondo sulla via del tramonto. Ce lo dicono i numeri di una emigrazione che dopo le aree interne sta via via coinvolgendo anche quelle costiere in favore dei grandi agglomerati urbani e che nel periodo 2004/2020 ha fatto registrare centomila residenti in meno in una regione che, dati alla mano, non supera la soglia del milione e mezzo di abitanti realmente residenti. Razionalizzare è un verbo che nell’ultimo quarantennio, specie alle nostre latitudini ha perso la sua accezione positiva diventando quasi sempre anticamera al de profundis, sinonimo di smobilitazione, di resa. Chiudono le scuole, chiudono i principali servizi a testimoniare una rotta ben precisa, ed è in un contesto come questo che il valore di una governance di qualità diventa sempre più necessario per non abbandonarsi ai fatalismi diventati ormai quasi un patrimonio genetico, per non cadere in una retrotopia sempre a metà strada tra alibi e moto nostalgico. Serve altrochè la buona governance, servono esempi di buone pratiche che diventino nel tempo segnale di speranza, ciambella di salvataggio in un mare di rassegnazione. Servono uomini capaci di unire la ragione al sentimento. A volte per fortuna, ci sono però anche segnali in controtendenza che fotografano una situazione affatto irreversibile, come nel caso dei dati fornitici da Poste Italiane, relativi ad una presenza capillare che vuole andare oltre il valore pratico, consegnandoci un’inversione di tendenza in atto ormai dal 2018. Un trend finalmente positivo, frutto di scelte aziendali che sembrano aver anteposto la ragione alla fredda logica dei numeri. Non più tardi di dodici anni fa un ideale viaggio dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila e le Serre ci consegnava un disarmante quadro di smobilitazione degli uffici postali di frontiera. Basti pensare che (dati 2011) nella sola provincia di Reggio Calabria, un piano di razionalizzazione basato sulle utenze, aveva sancito il funzionamento a singhiozzo degli uffici di Benestare, Bova, Bivongi, Bruzzano, Staiti, Casignana, Melia di Scilla, Montebello Jonico, Pazzano, Platì, Riace, Roccaforte del Greco, Samo, San Lorenzo, Sant’Alessio, Sant’Agata del Bianco, Camini, Candidoni, Canolo, Ciminà, Cosoleto, Laganadi, Martone, Ortì, Placanica, Portigliola, San Giovanni di Gerace, Siderno Superiore, Stignano, Agnana, passando nel giro di appena tre anni (dati ufficiali 2014) alla  definitiva chiusura di Anoia, Campoli di Caulonia, Plaesano di Feroleto della Chiesa, Castellace, Rosalì, Barritteri di Seminara, San Pantaleo, Terreti, Villa San Giuseppe, Capo Spartivento, Careri, Piminoro, Cirello di Rizziconi, Condojanni, Gambarie d’Aspromonte, Pardesca di Bianco, San Nicola di Ardore, San Nicola di Caulonia, Tresilico di Oppido Mamertina, Villamesa di Calanna, San Pier Fedele di San Pietro di Caridà e questo sia ben chiaro, solo per citarne alcuni. Un colpo di scure trasversale che tagliava di netto la dorsale reggina dallo Ionio al Tirreno. Non andava certo meglio risalendo verso la Sila e verso il Pollino dove il quadro si completava con cifre allarmanti che ridisegnavano la geografia antropica in un entroterra evidentemente sempre più povero. Da cinque anni, la musica sembra essere cambiata grazie ad un percorso intrapreso da Poste in collaborazione con i piccoli Comuni.

Oggi lo scenario tracciato ci parla di nuovi investimenti, di aperture, di potenziamenti di servizi già esistenti e creazione di nuovi nelle aree carenti. Uffici Postali rinnovati in molte comunità tra le più piccole della regione, iniziative che si inquadrano nel più ampio piano strategico Environmental, Social and Governance. L’obiettivo complessivo di Poste, di assumere un ruolo chiave nello sviluppo dell’intero sistema Paese, riveste nel caso della Calabria e nello specifico del suo entroterra una valenza eccezionale per quelle che sono le ricadute dirette in termini di servizi ma ancor prima per quelle indirette, per quel possibile effetto domino che molti si augurano. È stato chiaro già nel 2018 l'Amministratore Delegato di Poste Italiane Matteo Del Fante che nel presentare ai sindaci 10 impegni per i piccoli Comuni volle ribadire l'importanza strategica di mantenere aperti tutti gli Uffici Postali situati nei Comuni con meno di 5.000 abitanti. Un impegno quello di Del Fante e dell’azienda andato ben oltre le aspettative in premessa, prendendo corpo, come anticipato in apertura, nel progetto Polis, presentato qualche mese fa a Roma alla presenza di circa cinquemila sindaci. Nello specifico il progetto Polis prevede una collaborazione tra Enti Comunali e Uffici Postali. In questi ultimi potranno essere erogati diversi sevizi della Pubblica Amministrazione resi disponibili presso lo Sportello Unico nei piccoli centri. Si tratta di un intervento massiccio che si focalizza sui piccoli comuni, quasi esclusivamente al di sotto dei di 5.000 abitanti. Una attività di potenziamento che suona come riconoscimento ai tanti calabresi ostinati ed agli amministratori illuminati che negli anni sono rimasti come ultimi baluardi della tutela di territori sempre più marginali. Si rintracciano sensibilità comuni che si incrociano sulle strade calabresi, quelle a pettine che salgono dallo Ionio e dal tirreno verso i monti o quelle che semplicemente tracciano i contorni di una regione lunga e assai variegata, per morfologia e cultura, accomunata per contro da analoghi problemi, mali cronici a cui ogni tanto qualcuno cerca di porre rimedio. Oggi la sensibilità di Poste Italiane, incrocia il cammino dei tanti scrittori, studiosi, camminatori, artisti, che ormai da anni sembrano aver riscoperto l’amore per i luoghi periferici, la consapevolezza di quanto sia necessario un esercizio di sensibilità e lungimiranza per regalarsi un orizzonte, per accantonare il retrogusto amaro che accompagna una terra dove sogni e speranze rimangono spesso incompiuti. Sono tanti, molti di più di quanto non si pensi i calabresi che hanno capito come e quanto l’ideale sogno di riportare la vita in luoghi dove da tempo domina il silenzio, o di conservarla laddove ancora ne rimane traccia, non sia in realtà impresa impossibile. Riattribuire un ruolo centrale alla vita che torna o semplicemente a quella che resta non è utopia, è qualcosa di reale che passa dall’impegno e dall’assunzione di responsabilità. Serve ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, come mi suggerisce l’amico Vito Teti, che con grande gioia ho riabbracciato qualche giorno fa a distanza di qualche anno. Al contrario di quanto avveniva un secolo addietro – continua a ripetere Teti con l’amore e la determinazione che lo contraddistinguono - oggi la più forte forma di sradicamento non la vive più chi parte, quanto invece chi decide di restare”. Oggi possiamo affermare che chi resta, ha certamente qualche strumento in più, per continuare a vivere la quotidianità, ma ancor prima per sperare in un futuro che non sia lontano dai luoghi della propria personale storia.  

domenica 5 febbraio 2023

ASPROMONT HORIZON. A NARDELLO, DAL SOGNO AMERICANO ALLO SPAURACCHIO DEL DISASTRO AMBIENTALE

 

Dopo una prima parte di inverno in sordina, gelo e neve sembrano volersi fare strada e l’Aspromonte si colora di bianco a quote via via più basse. D’altronde il bianco da queste parti rimane colore dominante in ossequio ad una radice linguistica greca dove “asper” non vuole essere abbreviazione di asperrimo, quanto invece eloquente riferimento cromatico, fu infatti proprio il bianco dei calanchi e quello delle nevi nell’immediato entroterra il colore che accolse i primi greci sulle nostre coste e fu perciò proprio da quel primo sguardo, da quel colpo di fulmine che prese origine l’appellativo che oggi in tanti erroneamente accostano alla natura impervia dei luoghi. È strana la neve, fenomeno meteorologico accompagnato sempre da una dicotomia, tormento per i pastori di alvariana memoria, assai meno per quelli 2.0, occasione di gioia per i bambini e di comprensibile sollievo per gli operatori turistici. Ma se vogliamo la neve ha anche un’altra sua valenza che in questa fase storica dove il concetto di educazione al bello è spesso abusato, assume un valore pratico a cui si aggiunge un retrogusto poetico. È quasi come se la neve conservasse nella forma dei suoi cristalli, una cifra stilistica spesso sconosciuta all’uomo. Copre, uniforma, rende tutto uguale la neve, cancellando le storture prodotte dall’uomo, e di storture ne ha viste nel tempo questa montagna, violentata nello spirito e nella forma, nell’immagine e nei contenuti. Le ferite sono in superficie e ben visibili, non si fatica infatti a trovare in un contesto di rara e ancora selvaggia bellezza, elementi che parlano di degrado, di abbandono, di incuria, cattedrali nel deserto che rimangono a perenne testimonianza di scelte scellerate, di miraggi mai realizzati, di improbabili intuizioni naufragate prima ancora di prendere il largo. Dalla ghost town di Cardeto Sud, apoteosi di speculazione edilizia nata verso la metà degli anni settanta, ai ruderi di Piani Moleti in territorio di Ciminà. Dall’ex base NAPS dei Piani di Stoccato in territorio di Oppido Mamertina poco più su della frazione di Piminoro (nata per ospitare i nuclei speciali antisequestri), alla struttura sportiva di Canolo nuova, sui pianori di Zomaro, concepita negli anni ottanta con la velleità di ospitare la preparazione atletica di squadre di calcio professionistiche, mai entrata in funzione e divenuta nel tempo luogo di pascolo per mandrie più o meno sacre. È lungo l’elenco di incompiute, lunga la classifica di ecomostri rimasti a deturpare, a segnare in calce un’epoca che piaccia o meno, va accettata e riconosciuta, d’altra parte lo sappiamo bene come utopia e poesia spesso debbano cedere il passo ad una realtà che quasi mai è come vorremmo. Qualche mese fa, prima che l’inverno si decidesse a fare sul serio, ho rivisitato un luogo, che al pari di quelli prima indicati, testimonia di una incuria e un degrado che reclamano giustizia. 


Questa storia, fa riferimento ad un punto geografico preciso dove si cristallizza un’epoca, una fase storica a molti sconosciuta e assai particolare, durante la quale l’Aspromonte diventa crocevia di rotte internazionali. Il luogo di cui parliamo è monte Nardello. Siamo a circa 1750 metri di quota in territorio del comune di Roccaforte del Greco. Risalendo il crinale di qualche centinaio di metri, siamo a ridosso del Montalto, da dove lo sguardo abbraccia idealmente lo Ionio e il Tirreno, facendo cogliere in tutta la sua maestosità la misura di una collocazione geografica strategica. Per capire cosa succede a Nardello, facciamo un passo indietro, al 1965. In quell’anno sull’Aspromonte succede qualcosa che, fino a qualche anno prima, in una montagna ancora quasi completamente in bianco e nero sembrava impensabile, su quei monti arrivano gli americani. Il progetto, mai del tutto realizzato, si chiama Aspromont Horizon, è questo il nome dello studio che fin dalla fine degli anni 50 venne elaborato dagli Stati Uniti, pensando proprio all’Aspromonte, ma anche alla Sicilia con le basi di Catania e Trapani, come crocevia strategico in tema di raccolta ed elaborazione di dati sensibili.
Dall’altra parte del mondo siamo in piena guerra fredda ed in ballo c’è il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. In questo contesto geopolitico prende vita la storia di Nardello, divenuto nell’immaginario collettivo di quegli anni, luogo quasi mistico su cui aleggiavano una lunga serie di storie più o meno fantasiose che andavano dagli esperimenti con gli ufo, all’utilizzazione di missili, insomma una sorta di area 51 in salsa calabrese. Dopo circa vent’anni di attività, si arriva al 1985, quando l’utilizzo sempre più massiccio dei satelliti determina ufficialmente la fine dell’operatività della base. Abbandonata sul finire degli anni ottanta, nel 1993 viene ufficialmente dismessa e trasferita al Ministero della Difesa italiano, cadendo in totale stato di abbandono. Nei decenni successivi si è assistito ad un saccheggio selvaggio di tutto ciò che poteva essere sottratto, in sfregio a qualsiasi riguardo, a conferma di come nel sentire comune, la res publica si trasformi spesso e facilmente in res nullius. Oggi i luoghi dell’ex base USAF, un’area di circa tre chilometri e mezzo di diametro, in un contesto lunare, disegnato da centinaia di alberi abbattuti dagli incendi degli ultimi anni, si presenta come una distesa desolata dove a preoccupare, più degli alberi abbattuti, sono i residui di amianto che suggeriscono lo spauracchio del disastro ambientale. Da anni le associazioni ambientaliste segnalano il pericolo, ma Nardello, nell’indifferenza generale continua a rimanere là, silenzioso testimone di un sogno americano che ha ceduto il passo ad un neorealismo postmoderno calabrese.

 



martedì 24 gennaio 2023

A SANT'AGATA DEL BIANCO DOVE LO STRAORDINARIO DIVENTA ORDINARIO

 

 La locride, ma in verità la Calabria tutta è terra di luoghi comuni dove è facile abbandonarsi alla rassegnazione, quasi fosse una scelta di comodo, una ricerca di autocommiserazione utile a giustificare un immobilismo da ascrivere se possibile sempre agli altri, un torpore che nei secoli ha prodotto una progressiva desertificazione umana e culturale. Oggi però a scomparire sotto i colpi di una nuova e ridisegnata mappa demografica non è solo l’entroterra, ideale vittima sacrificale nell’immaginario collettivo dell’ultimo mezzo secolo. A sventolare una bandiera bianca strappata dallo scirocco e dal grecale, oggi è anche la costa, quella periferia urbana dove agavi e calanchi parlano di un presente che profuma ancora di passato. Le marine, fino a trent’anni fa miraggio da raggiungere, eldorado sgangherato ma pur sempre assai appetito, diventano oggi punto di partenza da cui scappare alla ricerca di nuove e più allettanti mete globali. Corsi e ricorsi della storia ci consegnano la narrazione di luoghi che nel giro di pochi decenni passano da spazi sconfinati di speranza ad angusti angoli di disperazione e disfatta. È una ricerca affannosa quella del calabrese, una rincorsa che spesso assume un andamento circolare, in ragione del quale può anche accadere di ritrovarsi, dopo tanto girovagare, di nuovo al punto di partenza, scoprendo che quello che si era abbandonato troppo in fretta, tutto sommato forse è meglio di ciò che si stava cercando chissà dove. Certe storie in controtendenza, nel tempo hanno assunto i connotati di fiammelle di speranza che ondeggiano come lanterne cinesi, molte si spengono, alcune resistono disegnando con le loro ombre, sagome a cui ognuno da una propria lettura leggendoci forme diverse, un po' come i bambini quando osservano la forma delle nuvole. Se penso a queste storie, a quelle che resistono, il primo volto che mi viene in mente è quello di Domenico Stranieri, collega giornalista, caro amico, ma soprattutto amministratore illuminato, sindaco di Sant’Agata del Bianco. Domenico è la dimostrazione plastica di come la cultura, la sensibilità, l’intuizione al servizio della propria terra, possano essere medicina che cura, unguento che rimette in piedi un malato per il quale schiere di vattienti e prefiche si erano affrettati a richiedere l’estrema unzione. Senza presunzione alcuna e senza voler azzardare improbabili accostamenti biblici, potremmo comunque dire che Domenico ed i suoi compagni di viaggio o se preferite d’avventura, hanno saputo trasformare le pietre di Campolico in pane di grano per sfamare quanti hanno saputo cogliere il valore della pazienza e dell’attesa. Lo hanno fatto sostituendo uno spartito che molti avevano già imparato a memoria, mettendo in campo una musica diversa, non solo quella del festival “Stratificazioni”, che partendo da una parafrasi romantica, da un geniale accostamento a Saverio Strati, suggerisce note di cultura, integrazione e cambiamento. La musica diversa che si ascolta a Sant’Agata è molto più diffusa e la si suona e la si ascolta senza spartito per le viuzze di un paese che nel colore dei suoi (per ora) diciotto murales,
ritrova uno smalto sbiadito dal tempo e dall’incuria. Sant’Agata del Bianco è un centro rinato e non solo sotto il profilo del decoro urbano, perché Domenico lo sa bene come e quanto ad essere ricostruite, prima dei muri scrostati, degli angoli abbandonati, degli edifici fatiscenti e dimenticati, debbano essere le relazioni umane, quel senso di comunità che si fa valore aggiunto, ragione sociale, fattore distintivo e determinante che segna la distanza tra il locale e il globale.  È stata ed è una certosina operazione di restiling innanzitutto culturale e sociale quella messa in campo da Domenico e dalla sua squadra, un calcio al disfattismo che oggi regala certamente  un paese cambiato, ma anche e soprattutto un messaggio di speranza ai tanti che, nel compimento del proprio personale percorso, possono sperare in un moto circolare che riconduca alle origini, agli affetti, ai ricordi da conservare, regalandosi però la possibilità di declinare finalmente i verbi al futuro.