sabato 28 novembre 2020

AD AFRICO TRA VECCHI RETAGGI E NUOVI RIFLESSI DI LUCE

A volte, in giornate come questa, uggiose, scandite da una nebbia che confonde, mi lascio sopraffare da una strana angoscia, dal torpore, da un senso di immobilismo e claustrofobia che mi attanagliano. Giornate così, da caminetto e libro suggeriscono ricordi, sollecitano immagini e situazioni che pensavi di avere rimosso, così poco fa, non so perché e non so bene cosa me lo abbia suggerito, ho ripensato ad una serie di coincidenze e nel farlo mi sono detto “sarà la settimana del lamento day, o forse la settimana “Africo refrain”? non so, cercherò comunque di darmi una risposta. Fatto stà che il tutto trova forse origine da una telefonata all’ora di pranzo con Gioacchino Criaco, forse è stata la sua voce o forse senza andare a ricercare fantasiose coincidenze, solo il colore plumbeo di un cielo coperto da nuvole cariche di pioggia che osservo attraverso i vetri della finestra. Ma facciamo un attimo il punto. Alcuni anni fa chiacchierando con un amico che non sentivo da tempo e che per telefono, dopo i convenevoli di rito, quelli che si fanno in automatico senza valutarne la reale necessità, ebbi modo di raccogliere il suo disappunto nei confronti di un suo collega di Africo. Parecchio contrariato il mio amico non lesinava critiche feroci al collega per alcune pretese a suo dire fuori luogo. “Sai che ti dico, è proprio vero che “l’africotu” anche quando non ha bisogno di nulla, trova sempre qualcosa da chiederti”.  In un primo momento, ad ascoltare quelle parole mi sembrò di risentire un ritornello diventato negli anni luogo comune. Certo, che l’africese sia personaggio particolare, sembra quasi un eufemismo, ma è pur vero che i luoghi comuni tante volte esistono anche per essere sfatati. Sollecitato dal discorso del mio amico, andai a riprendere, come fatto anche qualche giorno fa, “Africo” di Corrado Stajano e subito dopo anche uno scritto di Gioacchino Criaco, un appunto che avevo conservato in una cartella sul pc, un pezzo di qualche anno fa condiviso da un giornale online dal titolo, Viaggio nella Africo di "Anime Nere" a firma di Giuliano Santoro, dove tra le altre cose si parlava anche del volume di Stajano, ristampato da “Il Saggiatore” e tornato ormai da tempo nelle edicole. Nel suo pezzo Santoro parlava del lavoro di Stajano ma anche di tanto altro, ad esempio di situazioni e di persone, e tra queste parlava di Don Giovanni Stilo. “Il prete – diceva Santoro - che condusse gli africoti dalla montagna al mare, quel prete amato dagli anticomunisti e vicino agli ambienti della massoneria, una figura che diventa simbolo del radicamento della nuova ‘Ndrangheta sul territorio”. Oltre alla figura di Don Stilo, nel racconto di Santoro c’era anche quella di Rocco Palamara, figlio di emigrati a Milano, che torna con nuove idee che parlano di ribellione. “Rocco - spiegava l’autore - subisce diverse minacce e suo cognato Turi Barbagallo viene pure ucciso. Ne Rocco ne il cognato diventano però eroi ufficiali dell’antimafia, e sapete perché, perché non hanno mai accettato di farsi vittime”. Chiavi di lettura strettamente personali certo, ma nel pezzo si faceva cenno ad una Africo che cambia velocemente pelle, ancora legata a vecchie logiche criminali radicate nei codici e nei rituali di memoria antica, ma con un occhio attento al cambiamento. C’era poi una locride a tinte fosche che l’autore definiva luogo di incontro tra nuovi business, servizi segreti, neofascisti e potentati di governo. In chiusura, Giuliano Santoro dedicava un doveroso spazio ad Anime Nere, il romanzo di Gioacchino Criaco finito sui grandi schermi di tutto il mondo. «La storia di queste terre - conclude Santoro - non appartiene al folklore locale, estende reti economiche e criminali dappertutto, abbraccia flussi globali, ma soprattutto, i conflitti che l’hanno scossa e le vite che ancora la animano evocano temi universali». La realtà di Africo la conosco bene da tantissimo tempo. Ho conosciuto Don Giovanni Stilo verso la metà degli anni '80, ed in tempi assai più recenti anche Rocco Palamara in occasione di diversi appuntamenti culturali che abbiamo condiviso. Le storie di Rocco Palamara e Don Stilo le ho approfondite con un piacere doppio, perché la loro rilettura in chiave attuale sembra condensare il midollo di una terra amara, dura, scontrosa che in quella discesa frettolosa, in quella corsa precipitosa dalla montagna al mare si è portata dietro un bel pò di cose, le rocce taglienti dell’Apòscipo o quelle che trovi lungo i contrafforti dello Scapparone quando ti affacci verso lo ionio dando le spalle a monte Iòfri, Materazzelli e Montalto. Sono estremamente convinto di come il dna di questa gente si rintracci anche nell’orografia di questa terra, che il tempo ha modellato senza mai farla realmente cambiare nella sostanza. Non so se sia vero quello che sosteneva il mio amico, non so se l’africoto voglia comunque qualcosa anche quando non ci sarebbe bisogno di nulla, e poi si sa, in fondo c’è sempre bisogno di qualcosa. Africo è un piccolo mondo a parte, un angolo di Calabria assai particolare dove coesistono più anime, un luogo che se lo conosci con i tuoi occhi, senza i filtri del racconto, ti consegna il quadro complesso di un luogo borderline dove trovi di tutto, dove oltre al buio, c’è anche un’aura di luce che pochi raccontano. La luce è quella che si irradia da un ingegno fertile, da un’innata vena artistica che si manifesta nel canto come nella scrittura, nella musica come nello sport. 

Gli africoti odiano il mare - diceva Stajano, in quel lavoro finito di stampare nel ’79 - un mare quasi sull’uscio di casa, blu carico, con bordi celeste Madonna e striature vinose”. Oggi Africo, con quelle montagne alle spalle, ideale cordone ombelicale mai reciso, e quel mare sempre sull’uscio di casa, sempre blu carico con bordi celeste, è molto diversa da quella della fine degli anni ’70. Questo l’ho capito ormai da tempo, da quasi vent’anni, da quando, dopo i racconti delle cronache giudiziarie, delle faide, ho imparato a conoscere le poesie e la musica di Gianni Favasuli, la voce di Lucia Catanzariti, la penna di Rocco Palamara e quella ormai famosa di Gioacchino. Ho imparato tutto macinando chilometri, incrociando volti, ascoltando aneddoti, vivendo situazioni agli antipodi, ho imparato come, per capire quel luogo e la sua gente su cui si è scritto praticamente di tutto, ci voglia una grande pazienza, un’attenzione particolare, un occhio sgombro da preconcetti. Soprattutto ci vuole la possibilità di rileggerlo dal di dentro, senza abbandonarsi agli stereotipi e se vogliamo, giustamente anche senza sconti. Magari alla fine ti accorgerai che nella rilettura c’è tutto quello che è stato raccontato e magari anche qualcosa in più, quello che nessuno se non la tua esperienza, potrà mai raccontarti.


 

lunedì 23 novembre 2020

STORIE DI UNA TERRA CHE CAMBIA...PER RIMANERE UGUALE


 «La mafia nasce con la questione meridionale che ne è presupposto inscindibile. Non esiste frattura tra vecchia mafia romantica dai nomi misteriosi e romanzeschi che ha solo qualche ambizione di protesta sociale, e nuova mafia delinquenziale aggiornata ai modi del profitto e della rendita dell’economia capitalistica. La mafia ha sempre avuto necessità di surrogarsi ai governi ed alla classe dirigente con responsabilità nella gestione del potere e c’è continuità tra passato e presente, connivenza non interrotta tra mafia e Stato, uomini del Parlamento e del governo, magistratura, polizia e carabinieri. In questi anni abbiamo parlato di ministri, di mammasantissima, di senatori, di picciotti, di onorevoli incappucciati, abbiamo fatto nomi e cognomi ma le nostre interrogazioni sono sempre rimaste senza risposta».



Qualche giorno fa mi è tornato tra le mani questo breve testo tratto dalla relazione presentata del deputato socialista Salvatore Frasca alla conferenza promossa dal Consiglio Regionale della Calabria tra il 10 ed il 12 aprile del 1976. A colpirmi è stata l’attualità di una tematica mai fuori moda. A dire il vero a colpirmi più delle solite questioni morali, sono state le tante assonanze con una serie di letture, alcune di tanto tempo fa, altre un po’ più recenti che mi hanno riportato alla mente un aneddoto. Era il 1997 e mi trovavo con mio padre ad Altomonte, in quell’occasione mi presentarono Costantino Belluscio. Non sapevo ancora chi fosse fino a quando mio padre durante il viaggio di ritorno mi raccontò della sulla sua carriera politica e soprattutto dell’amicizia che lo legava ad un’altra figura, che di certo conoscevamo molto meglio. Il ricordo di quell’incontro mi ha spinto a riprendere in mano alcuni testi che non leggevo da tempo, tornando all’analisi di una figura sulla quale mi sono soffermato a lungo negli anni, nel tentativo di capire quale fosse la verità, alla ricerca di un perché a tanta divisione di pensiero. Ci sono alcune cose che mi vengono in mente se penso alla figura di Don Giovanni Stilo, la prima in assoluto è il suo viso, quello allora sconosciuto che faceva capolino dalla soglia del portone di casa mia, al pari di tanti altri cui i miei occhi da bambino non riuscivano a dare precisa collocazione. La seconda di più recente memoria, sono gli scritti su di lui, quelli controversi che ho voluto riprendere e che più li rileggo più fanno trasparire sentimenti divergenti. E’ proprio vero, la figura di Don Stilo rimane tra quelle più discusse in questa parte di Calabria, rimasta per alcuni versi sempre uguale. 

Quella del prete di Africo è una figura che unisce idealmente una parte della locride e dell’area grecanica, vicine come sono specie attraverso la via della montagna, ma di sicuro unisce anche queste realtà territoriali al resto della provincia e della regione, incarnando più di tante altre le contraddizioni di una terra dai contorni quasi mai netti, dove mare e montagna coesistono da sempre guardandosi con distacco. Dicevo degli scritti, quelli che ho ripreso da poco, di Costantino Belluscio e Corrado Stajano, l’uno contraltare dell’altro per filosofia di pensiero e chiavi di lettura, il primo mosso nel giudizio da un personale rapporto di amicizia e forse anche dalla convinzione che un solo uomo non possa essere portatore di tutte le storture della società, l’altro invece, sembra catalizzare l’attenzione sulla figura del sacerdote di Africo che diventa icona del male. Stajano non si limita a parlare di un prete padrone, va ben oltre eleggendolo ad anello di congiunzione tra ndrangheta, chiesa, malaffare, politica e pezzi deviati delle istituzioni. È vero, è assai chiacchierato il prete di Africo, la sua figura è accostata per quasi mezzo secolo alla massoneria, alla politica, alla magistratura, ai servizi segreti deviati, alle pagine più scure di una Calabria e di una locride che proprio negli anni di Don Stilo cambia pelle attrezzandosi in vista dei grandi business miliardari, quelli della droga, degli appalti e dei sequestri di persona. Insomma, è facile capire come la carne al fuoco quando si parla di lui sia talmente tanta che ci sarebbe da discutere per giorni, senza peraltro riuscire mai a mettere tutti d’accordo, ecco perché ritengo che la “questione Don Stilo” necessiti di una giusta riflessione. “Mai, dico mai, ho fatto parte del coro di aguzzini, più o meno ispirati, che hanno invaso la strada della libertà precludendone, anche solo con le parole, la disponibilità ai diretti interessati. Sempre, sottolineo sempre, ho creduto nella presunzione di innocenza, mai mi ha appassionato lo sport, purtroppo molto praticato, della colpevolezza decisa a tavolino e trasmessa a mezzo stampa”

Questo breve frammento è tratto dal lavoro di Belluscio Il Vangelo secondo Don Stilo” edito da Klipper nel 2009. Belluscio, giornalista con una lunga esperienza da parlamentare dal ‘72 all’87, si è spento nella sua casa romana l’11 febbraio del 2010, neanche due mesi dopo la pubblicazione del lavoro su Don Stilo, quello cui teneva tanto. Anche di Belluscio si chiacchierò tanto, si disse ad esempio della sua appartenenza alla P2, quasi a suggerire un legame occulto che avrebbe mosso la strenua difesa del prete. Ma rileggere le poche righe che ho riproposto tra virgolette è stato come riaccendere la luce su una storia lunga e travagliata, una di quelle a tinte fosche tipiche di un Paese dove le linee di confine sono assai sfumate e spesso facilmente confondibili, storie tutte italiane cui la Calabria non si sottrae affatto, anzi, se possibile ci mette del suo rendendole tristemente originali. Il Vangelo secondo Don Stilo è un titolo che Belluscio aveva voluto fortemente per il suo valore simbolico, per ricordare la figura del sacerdote di Africo protagonista del trasferimento di quella comunità dall’Aspromonte al mare nel 1951, un volume che giunto a trent’anni esatti da quello di Stajano, suona quasi come un estremo tentativo di ristabilire un giusto equilibro in un frangente storico dove le analogie si sprecano proponendo di continuo corsi e ricorsi. Rivisitando in chiave attuale l’essenza dell’uomo e del prete Stilo non solo attraverso le letture ma anche e soprattutto attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto con sentimenti opposti, ad essere sincero non trovo differenze in un copione che si ripete puntuale ogni qualvolta si parla di personaggi che nel bene e nel male hanno segnato un’epoca. Sulla sua figura si è detto di tutto, quasi come se sotto il crocefisso avessero trovato spazio anche tante altre cose, dai grembiuli della massoneria, alle pistole della ‘ndrangheta, dai servizi deviati alle agende della politica nazionale, insomma, più che un prete, un catalizzatore di interessi oscuri. Oggi di Don Stilo, di Belluscio, di Stajano non si parla quasi più, gli anni sembrano avere cancellato con le persone anche i ricordi, quando invece sarebbe bello rivisitare queste figure con occhio più distaccato ed imparziale, forse si capirebbe tanto di questa terra, mutata nei volti ma quasi per niente nella sua essenza. Passando da quei luoghi, dalla vecchia come dalla nuova Africo così come dalla Locride più in generale, osservo un contesto culturalmente quasi immutato. Ripensare oggi a quel viaggio ad Altomonte, alle visite di Don Stilo, alla prima volte che lessi Stajano ed a quanto mi sono interrogato, mi suggerisce come tanti interrogativi, anche a distanza di così tanto tempo, siano ancora senza risposte, dipenderà forse dal fatto che certe domande non hanno sempre una sola risposta, ne hanno tante, buone per ogni occasione, a noi il compito di darci quella che più ci piace.

 

venerdì 29 maggio 2020

PER QUEST'ANNO PUOI AFFOGARE...STESSA SPIAGGIA STESSO MARE

“Per quest’anno puoi affogare…stessa spiaggia stesso mare”. Potrebbe essere uno dei tanti refrain, una versione rivisitata del famoso motivetto di Piero Focaccia, anno 1963, potrebbe anche essere una strategia di marketing lanciata da un consorzio di imprese di onoranze funebri in vista della stagione estiva perché in fondo si sa, morire in estate e magari su un spiaggia, si spera anche affollata, è tutta un’altra cosa, vuoi mettere la soddisfazione di congedarsi circondati da uno stuolo di ragazze in bikini e da improbabili baywatcher a petto nudo e borsello sinuosamente appoggiato al costato, con le pance scolpite delle parmigiane della sera prima. 

giovedì 23 aprile 2020

LETTERATURA PRET A PORTER....LIBRERIE SELVAGGE

Inauguriamo oggi una nuova rubrica dedicata agli affetti collaterali della pandemia, "Letteratura pret a porter", questo il titolo di uno spazio che abbiamo voluto dedicare all'analisi dei tantissimi risvolti di carattere sociale connessi a questo periodo di lockdown. L'idea nesce su input della collega ed amica Maria Zema che ringrazio per aver voluto condividere con me l'esigenza di esternare, ognuno a proprio modo un sentimento, una propria visione figlia di un frangente storico che ci ha profondamente segnato, non spegnendo però la nostra passione per la scrittura e soprattutto per un'ironia mai come oggi necessariamente dissacrante, terapeutica......

lunedì 13 aprile 2020

RIDATEMI IL SUPER SANTOS, MI MANCA LA POESIA


In questi giorni di semi clausura ho ingurgitato di tutto, non parlo certo di questioni alimentari, per le quali nessuna clausura riuscirebbe in verità mai a redimermi, parlo invece di libri, vecchi ritagli di giornale che ripercorrono più di vent’anni di lavoro, filmati più o meno recenti, notizie e approfondimenti di ogni tipo, tralasciando di proposito l’attualità (fatto salvo un telegiornale al giorno) per evitare di venire fagocitato dal buco nero dell’informazione di massa, quella che ti illude di accendere il cervello spegnendotelo a piccole dosi senza che tu ne abbia contezza, quella che cancella la coscienza facendoti mettere in fila col cerotto in bocca ed il pannolino sotto la tuta. 

domenica 5 aprile 2020

DOMENICA DELLE PALME DOPPIO DUE PUNTO ZERO

Ce lo ricorderemo questo duemilaventi, ci pensavo stamattina mentre camminavo da solo lungo le solite stradine strette e ripide che stanno facendo da cornice alle mie giornate nuvolose ed alle sere ancora molto fredde. Pensavo che ce lo ricorderemo proprio quest’anno, con questa sua numerologia quasi profetica che suggerisce un doppio due punto zero, un doppio stop con ripartenza all’insegna della rigenerazione, della forza di reinventarsi ripensando una vita come non avremmo mai immaginato.

venerdì 3 aprile 2020

COVID-19. DA UNA SCUOLA DI OPPIDO IL MESSAGGIO DI SPERANZA DI UNA SEDICENNE


Coronavirus e scuola. Dall’Istituto Gemelli Careri di Oppido Mamertina il bel messaggio di una studentessa. Potremmo riassumere così, in modo semplicistico il senso di questa notizia, potremmo parlare di storie di ordinaria clausura, di cronache dal fronte, di momento surreale, di condizione di disorientamento e di tante altre cose utilizzando una lunga sequela di luoghi comuni e di frasi fatte utili all’occorrenza ed ormai inflazionate dai social, dalla Tv e da qualsiasi mezzo di comunicazione divenuto compagno delle nostre giornate. 

venerdì 13 marzo 2020

LUNGO I SENTIERI DELLA NOSTRA VITA, SALUTANDO UN NUOVO TRAMONTO


E salutiamolo un altro tramonto, uno dei tanti che ci hanno tenuto compagnia in questo inverno anomalo che mai avremmo pensato ci avrebbe potuto riservare, proprio sui titoli di coda uno scherzo di questo genere. E pure, se non fosse per questa bolla irreale che ci avvolge, per questa narcosi a cui tutti, in un modo o nell’altro ci siamo nostro malgrado abbandonati, se non fosse per quest’aria innaturale, a guardarlo così questo tramonto, con quella luce rosso acceso che disegna riflessi sul mare e sull’Etna, sembrerebbe uno di quei tanti dipinti partoriti da questa terra a cui pur essendo abituati da una vita, ci approcciamo sempre con rispetto e meraviglia come si fa davanti ad ogni opera d’arte. 

lunedì 9 marzo 2020

SULLA RIVA DEL FIUME, RISCOPRENDO IL GUSTO DELLA LENTEZZA

 (Nello scatto di Noemi Evoli - Escursionisti nei Pressi di San Pantaleone, frazione di San Lorenzo)
E rimettiamoci, nell’accezione più ampia del termine, stante la clausura forzata, nelle mani, anzi, ai tasti del Computer, unica via possibile per dare sfogo ai pensieri. A dire il vero il Pc, virus o non virus, rimane per me e per molti, sempre uno dei migliori alleati utili a trasporre pensieri, a fissare sensazioni, a dare forma alle idee.