domenica 23 settembre 2018

CHIUDE LA SCUOLA DI ROCCAFORTE DEL GRECO. METAFORA DELLA RESA DI UN'ITALIA MINORE


Chiude la scuola a Roccaforte, si ammaina dopo anni di strenua resistenza la bandiera di un’altro presidio di quello Stato che dalle periferie sembra voler marcare sempre più le distanze. Leggo sui social piuttosto che sui principali mezzi di informazione l’indignazione della gente, lo scoramento unito a quel comprensibile senso di rassegnazione tipico di chi avverte di stare lottando ad armi ìmpari contro qualcosa o qualcuno più grande di lui, qualcuno che dovrebbe proteggerti mentre in realtà fa l’esatto contrario. 

Non so come finirà questa ennesima diatriba, questo ennesimo tira e molla che sa di minestra riscaldata o se preferite di triste terapia palliativa, perchè oltre al dato sconfortante dell’ennesima chiusura e dei suoi motivi, in questo caso, legati forse stranamente a scelte locali più che nazionali, quest’ultimo episodio suggerisce comunque una riflessione di carattere più ampio. La montagna di Roccaforte, l’Aspromonte greco più in generale, al pari del resto dell’Appennino, piuttosto che delle valli alpine, continua a perdere il proprio colore acceso e con esso la voglia e la forza necessaria a sopravvivere. L’impegno col Club dei Borghi più belli d’Italia, realtà associativa legata all’Anci, riservata a circa 280 piccoli centri italiani con popolazione inferiore a 5000 abitanti, per il quale curo la parte della comunicazione limitatamente alla regione Calabria, mi pone quotidianamente dinnanzi alle medesime problematiche. Dal mio osservatorio privilegiato o se preferite sfortunato, guardo un quotidiano ed incalzante susseguirsi di storie sempre uguali, fatte di diritti negati, di ingiustizie perpetrate ai danni di comunità sempre più indifese e rassegnate, piegate sotto i colpi di una razionalizzazione che spesso di razionale ha davvero poco. Certe storie raccontano di un Paese che sta velocemente cambiando pelle, mutilato nella sua struttura portante da una metamorfosi profonda, la stessa fotografata in modo chiaro da un rapporto che nel 2014 analizzammo nel dettaglio nel corso del direttivo nazionale del Club. Nel rapporto, curato da Legambiente per Confcommercio si segnalavano circa mille comunità che lentamente e nella distrazione generale si avviavano alla definitiva scomparsa. Quel documento, già quattro anni addietro ci parlava di una progressiva chiusura di servizi essenziali segnalando come le prime a soccombere fossero manco a dirlo le scuole, seguite a ruota dagli uffici postali. Nei municipi il segretario comunale così come il tecnico si presentano al lavoro a giorni alterni, coniugando le funzioni in due o più uffici. Non sono immuni da questo processo le parrocchie, dove anche il parroco svolge le sue funzioni a scavalco. Questo in estrema sintesi l’identikit di una parte di Italia che si appresta all’estremo saluto. Unitamente alla raccolta di un’importante mole di informazioni e di dati messi nero su bianco il rapporto dell’Istat spiegava però anche come un destino che si vorrebbe obbligato, in realtà non lo sia affatto, e come la morte inevitabile dell’Italia di provincia sembri piuttosto decisa a tavolino dall’apatia, dalla mediocrità o forse soltanto dalla colpevole incompetenza delle classi dirigenti e non solo quelle politiche. In Italia c’è una montagna, quella più a Nord che sembra in larga parte possedere un’altro passo, ed un’altra, l’Appennino meridionale sempre più vittima dell’abbandono. Poi sempre secondo l’Istat vi sarebbe addirittura un altro Sud nel Sud, dove a fare da contraltare alle vaste aree di abbandono e degrado troviamo piccole sacche di resistenza costituite da sistemi locali virtuosi e a volte vincenti, attività produttive che danno prova di capacità perché oggetto di una pianificazione lungimirante da parte di chi governa quei territori e di una inusuale capacità di resilienza della propria gente. Sono circa quattordici milioni gli italiani che vivono in luoghi carenti nei servizi, con prospettive di occupazione più modeste ed una capacità di resistenza via via sempre più fragile. Molti continueranno a partire e comunque chi rimarrà dovrà farlo accettando una disparità nella qualità dei servizi. L’auspicio, come rappresentante del Club dei Borghi, ma più semplicemente come cittadino di quell’Italia di provincia che si vorrebbe ad ogni costo cancellare, è quello che si possa ripartire da quanto di buono rimasto, rendendo quelle piccole sacche di resistenza appena citate, modello di buone pratiche da replicare. Volendo chiudere da dove iniziato, cioè dall’affaire Roccaforte, la mia personale speranza va a fare il paio con quella espressa assieme all’indignazione dai tantissimi che hanno voluto far sentire la propria voce in merito alla vicenda. La speranza sta nel sorriso dei bambini ed in quello delle tante famiglie che chiedono semplicemente l’opportunità, al netto di questioni nazionali piuttosto che di altre strettamente locali, di poter continuare a vivere nei luoghi di sempre, quelli della loro personale storia.  

3 commenti:

  1. Mi dispiace che certe belle e sane realtà debbano per colpa di qualcuno sparire dalla nostra Italia del Sud.

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  2. Bisognerebbe sapere cosa ne pensano il sindaco metropolita ed il grande governatore regionale, condottieri di due mostri di sprechi futili

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  3. Un’analisi veritiera, cruda, onesta, che condivido. Le piccole sacche di Sud nel Sud (le zone costiere, soprattutto) ci dicono che si potrebbe invertire la tendenza in questa parte d’Italia. Partire da queste “piccole sacche di Sud nel Sud” per convincerci che si può vivere con le nostre risorse, e, magari nel tempo, contribuire ad elevare anche le condizioni socio-economiche delle zone limitrofe interne e tuttora molto più distanti dall’area “fortunata”.

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