La locride, ma in verità la Calabria tutta è terra di
luoghi comuni dove è facile abbandonarsi alla rassegnazione, quasi fosse una
scelta di comodo, una ricerca di autocommiserazione utile a giustificare un
immobilismo da ascrivere se possibile sempre agli altri, un torpore che nei
secoli ha prodotto una progressiva desertificazione umana e culturale. Oggi però
a scomparire sotto i colpi di una nuova e ridisegnata mappa demografica non è
solo l’entroterra, ideale vittima sacrificale nell’immaginario collettivo dell’ultimo
mezzo secolo. A sventolare una bandiera bianca strappata dallo scirocco e dal
grecale, oggi è anche la costa, quella periferia urbana dove agavi e calanchi parlano
di un presente che profuma ancora di passato. Le marine, fino a trent’anni fa miraggio
da raggiungere, eldorado sgangherato ma pur sempre assai appetito, diventano
oggi punto di partenza da cui scappare alla ricerca di nuove e più allettanti
mete globali. Corsi e ricorsi della storia ci consegnano la narrazione di
luoghi che nel giro di pochi decenni passano da spazi sconfinati di speranza ad
angusti angoli di disperazione e disfatta. È una ricerca affannosa quella del
calabrese, una rincorsa che spesso assume un andamento circolare, in ragione
del quale può anche accadere di ritrovarsi, dopo tanto girovagare, di nuovo al
punto di partenza, scoprendo che quello che si era abbandonato troppo in
fretta, tutto sommato forse è meglio di ciò che si stava cercando chissà dove. Certe
storie in controtendenza, nel tempo hanno assunto i connotati di fiammelle di
speranza che ondeggiano come lanterne cinesi, molte si spengono, alcune
resistono disegnando con le loro ombre, sagome a cui ognuno da una propria
lettura leggendoci forme diverse, un po' come i bambini quando osservano la
forma delle nuvole. Se penso a queste storie, a quelle che resistono, il primo
volto che mi viene in mente è quello di Domenico Stranieri, collega
giornalista, caro amico, ma soprattutto amministratore illuminato, sindaco di
Sant’Agata del Bianco. Domenico è la dimostrazione plastica di come la cultura,
la sensibilità, l’intuizione al servizio della propria terra, possano essere
medicina che cura, unguento che rimette in piedi un malato per il quale schiere
di vattienti e prefiche si erano affrettati a richiedere l’estrema unzione. Senza
presunzione alcuna e senza voler azzardare improbabili accostamenti biblici, potremmo
comunque dire che Domenico ed i suoi compagni di viaggio o se preferite d’avventura,
hanno saputo trasformare le pietre di Campolico in pane di grano per sfamare
quanti hanno saputo cogliere il valore della pazienza e dell’attesa. Lo hanno
fatto sostituendo uno spartito che molti avevano già imparato a memoria, mettendo
in campo una musica diversa, non solo quella del festival “Stratificazioni”,
che partendo da una parafrasi romantica, da un geniale accostamento a Saverio
Strati, suggerisce note di cultura, integrazione e cambiamento. La musica
diversa che si ascolta a Sant’Agata è molto più diffusa e la si suona e la si
ascolta senza spartito per le viuzze di un paese che nel colore dei suoi (per
ora) diciotto murales,
ritrova uno smalto sbiadito dal tempo e dall’incuria. Sant’Agata
del Bianco è un centro rinato e non solo sotto il profilo del decoro urbano, perché
Domenico lo sa bene come e quanto ad essere ricostruite, prima dei muri
scrostati, degli angoli abbandonati, degli edifici fatiscenti e dimenticati,
debbano essere le relazioni umane, quel senso di comunità che si fa valore
aggiunto, ragione sociale, fattore distintivo e determinante che segna la
distanza tra il locale e il globale. È stata
ed è una certosina operazione di restiling innanzitutto culturale e sociale
quella messa in campo da Domenico e dalla sua squadra, un calcio al disfattismo
che oggi regala certamente un paese
cambiato, ma anche e soprattutto un messaggio di speranza ai tanti che, nel
compimento del proprio personale percorso, possono sperare in un moto circolare
che riconduca alle origini, agli affetti, ai ricordi da conservare, regalandosi
però la possibilità di declinare finalmente i verbi al futuro.