martedì 24 gennaio 2023

A SANT'AGATA DEL BIANCO DOVE LO STRAORDINARIO DIVENTA ORDINARIO

 

 La locride, ma in verità la Calabria tutta è terra di luoghi comuni dove è facile abbandonarsi alla rassegnazione, quasi fosse una scelta di comodo, una ricerca di autocommiserazione utile a giustificare un immobilismo da ascrivere se possibile sempre agli altri, un torpore che nei secoli ha prodotto una progressiva desertificazione umana e culturale. Oggi però a scomparire sotto i colpi di una nuova e ridisegnata mappa demografica non è solo l’entroterra, ideale vittima sacrificale nell’immaginario collettivo dell’ultimo mezzo secolo. A sventolare una bandiera bianca strappata dallo scirocco e dal grecale, oggi è anche la costa, quella periferia urbana dove agavi e calanchi parlano di un presente che profuma ancora di passato. Le marine, fino a trent’anni fa miraggio da raggiungere, eldorado sgangherato ma pur sempre assai appetito, diventano oggi punto di partenza da cui scappare alla ricerca di nuove e più allettanti mete globali. Corsi e ricorsi della storia ci consegnano la narrazione di luoghi che nel giro di pochi decenni passano da spazi sconfinati di speranza ad angusti angoli di disperazione e disfatta. È una ricerca affannosa quella del calabrese, una rincorsa che spesso assume un andamento circolare, in ragione del quale può anche accadere di ritrovarsi, dopo tanto girovagare, di nuovo al punto di partenza, scoprendo che quello che si era abbandonato troppo in fretta, tutto sommato forse è meglio di ciò che si stava cercando chissà dove. Certe storie in controtendenza, nel tempo hanno assunto i connotati di fiammelle di speranza che ondeggiano come lanterne cinesi, molte si spengono, alcune resistono disegnando con le loro ombre, sagome a cui ognuno da una propria lettura leggendoci forme diverse, un po' come i bambini quando osservano la forma delle nuvole. Se penso a queste storie, a quelle che resistono, il primo volto che mi viene in mente è quello di Domenico Stranieri, collega giornalista, caro amico, ma soprattutto amministratore illuminato, sindaco di Sant’Agata del Bianco. Domenico è la dimostrazione plastica di come la cultura, la sensibilità, l’intuizione al servizio della propria terra, possano essere medicina che cura, unguento che rimette in piedi un malato per il quale schiere di vattienti e prefiche si erano affrettati a richiedere l’estrema unzione. Senza presunzione alcuna e senza voler azzardare improbabili accostamenti biblici, potremmo comunque dire che Domenico ed i suoi compagni di viaggio o se preferite d’avventura, hanno saputo trasformare le pietre di Campolico in pane di grano per sfamare quanti hanno saputo cogliere il valore della pazienza e dell’attesa. Lo hanno fatto sostituendo uno spartito che molti avevano già imparato a memoria, mettendo in campo una musica diversa, non solo quella del festival “Stratificazioni”, che partendo da una parafrasi romantica, da un geniale accostamento a Saverio Strati, suggerisce note di cultura, integrazione e cambiamento. La musica diversa che si ascolta a Sant’Agata è molto più diffusa e la si suona e la si ascolta senza spartito per le viuzze di un paese che nel colore dei suoi (per ora) diciotto murales,
ritrova uno smalto sbiadito dal tempo e dall’incuria. Sant’Agata del Bianco è un centro rinato e non solo sotto il profilo del decoro urbano, perché Domenico lo sa bene come e quanto ad essere ricostruite, prima dei muri scrostati, degli angoli abbandonati, degli edifici fatiscenti e dimenticati, debbano essere le relazioni umane, quel senso di comunità che si fa valore aggiunto, ragione sociale, fattore distintivo e determinante che segna la distanza tra il locale e il globale.  È stata ed è una certosina operazione di restiling innanzitutto culturale e sociale quella messa in campo da Domenico e dalla sua squadra, un calcio al disfattismo che oggi regala certamente  un paese cambiato, ma anche e soprattutto un messaggio di speranza ai tanti che, nel compimento del proprio personale percorso, possono sperare in un moto circolare che riconduca alle origini, agli affetti, ai ricordi da conservare, regalandosi però la possibilità di declinare finalmente i verbi al futuro.