domenica 1 aprile 2018

MILANO-REGGIO CALABRIA. CRONACHE DI ORDINARIA CONDIVISIONE IN VIAGGIO VERSO SUD

“Quando ti metterai in viaggio devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze perché il viaggio non richiede fretta, deve piuttosto essere ricco di esperienze”. 
 Ripenso spesso alla “Itaca” di Costantino Kavafis, scritta più di un secolo addietro.  I versi di quella poesia mi tornano in mente assai di frequente, forse perché la convinzione del valore del viaggio necessario mi ha sempre accompagnato, anzi è proprio cresciuta con me seguendo una personale storia che parla di viaggi in auto carichi di amore, di ricordi e di sorrisi, quelli di mamma e papà su quella 131 mirafiori grigio metallizzato col portabagagli in ferro ben ancorato sul tettuccio. Negli anni ho imparato a distinguere la differenza che intercorre tra il viaggio e lo spostamento, ho imparato quanto il concetto di viaggio sia cosa assai diversa da quello di distanza o di meta. Di recente ho ritrovato quel sapore che da tempo pensavo smarrito e che invece come tutte le cose più importanti, quelle che ti porti dentro come un corredo genetico, rimangono latenti senza mai abbandonarti. Il viaggio in auto da Milano alla Calabria, quello di qualche giorno fa mi ha restituito tante cose, la cartolina di un’Italia che pensavo di avere dimenticato, una  sensazione che mi mancava, qualcosa di cui anche senza rendermene conto avvertivo il bisogno, non so bene perché, forse perché da tempo mi capita di avvertire la necessità di trovare nuovi interruttori da accendere per illuminare i ricordi che non riesco a rileggere come vorrei. Ho riscoperto quanta inusuale intimità si possa celare dietro la condivisione di un viaggio in auto, dietro quell’alchimia involontaria che piano piano si solidifica assumendo col passare dei chilometri una forma sempre più definita. Ho pensato a tutto questo appena partito da Milano, osservando quelle pianure sterminate dove la sensazione di vuoto era interrotta da decine e decine di  cascine fatiscenti rimaste la come ostinati testimoni, fragili anelli di congiunzione con un passato mai del tutto scomparso. In quel momento ho riassaporato la potenza del viaggio, perché viaggiare non significa soltanto partire da un luogo per raggiungerne un’altro, è qualcosa di più profondo, è un’esperienza di condivisione di uno spazio, spesso angusto e di un tempo che può sembrare infinito o infinitamente breve. 

 Carmelo ha trentotto anni, giubbotto in pelle, barba incolta, Ray Ban sul naso, è un insegnante fuori sede uno dei tanti fagocitati dalla “trafila scolastica”, con un passato ed un presente da libero professionista nel settore tecnico. Ad attenderlo giù in Calabria ci sono i suoi genitori, la moglie e i suoi due figlioletti. Francesca è la più giovane della cordata, 23 anni, al quarto anno di economia, da grande vuole fare il revisore nel settore terziario. Per ora se ne sta la anche lei sul sedile posteriore dell’auto con il suo giubbetto, i suoi occhiali da sole, il suo iPhone con le cuffie, assorta nei suoi pensieri. Ho riflettuto su cosa le potesse passare in mente durante il tragitto, quasi mi fossi dimenticato quali pensieri mi affollassero la mente alla sua età. Poi le chiedo cosa vuole fare da grande e soprattutto dove immagina la sua vita. È  lucida e diretta Francesca, più di quanto mi aspettassi, di certo molto più di tanti suoi coetanei e nelle sue parole c’è un realismo tutto sommato non comune nei ventenni di oggi. “Amo Milano - mi risponde - la sento mia, mi fa stare bene, ma se dovessi giurare di rimanervi non saprei proprio, la vita riserva tante sorprese, finisco l’università e poi vediamo”. Loredana 48 anni, anche lei come Carmelo è un’insegnante, siciliana di Roccalumera. Loredana è su in Lombardia da undici anni, passata di ruolo tre anni fa, è innamorata del suo lavoro lo capisci sentendola parlare senza soluzione di continuità, tanto che in prossimità di Pavia mi tocca specificare in modo perentorio e naturalmente ironico come una volta oltrepassati i confini della Lombardia, sarà severamente vietato parlare di qualsivoglia argomento scolastico. A distanza di molte ore, quasi in dirittura d’arrivo scoprirò com l’amore di Loredana per il suo lavoro è pari a quello per la sua terra, lo capisco da come le brillano gli occhi quando superata da poco la mezzanotte ci affacciamo sullo stretto di Messina illuminato, davanti a quello specchio d’acqua stranamente immobile e magnetico. 
Poi quasi dimenticavo, a chiudere il quartetto ci sono io, 44 anni compiuti da qualche mese, giornalista da circa 23 ed oggi, in preda ad un sussulto di realismo, approdato all’esperienza scolastica nel tentativo di trovare un necessario se pur tardivo ingresso nei ranghi del settore pubblico, in ossequio ad una società che cambia, ridisegnando velocemente ruoli, prospettive ed ambizioni. Insomma, storie personali che si rincorrono, si intersecano, si mescolano, diventando col passare dei chilometri esperienza collettiva, trasformando l’abitacolo dell’auto in un contenitore dove ognuno lascia qualcosa di suo con la certezza che una volta aperte le portiere nulla potrà volare via. Poi c’è l’altra componente essenziale di ogni viaggio, le fermate, che prendono la forma degli Autogrill, un’entità a se stante che fa parte del viaggio, uno di quei luoghi che da sempre incarnano al pari delle sale d’attesa degli aeroporti o dei centri commerciali piuttosto che dei vagoni del metrò, l’archetipo più fedele del non luogo, quello che Marc Augè nella sua opera  “Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità” del 2003, definisce come luoghi incentrati solamente sul presente, altamente rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata da una precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Ho sempre trovato affascinante l’idea di  fermarmi, entrare in autogrill e di colpo percepire un’automatica spersonalizzazione, quanto di più catartico si possa desiderare,  perché le modalità d'uso dei nonluoghi sono destinate all'utente medio, all'uomo generico, senza distinzioni. Si varca quella porta in possesso di un’identità e una volta dentro diventi soggetto senza un ruolo definito nella società, semplice entità anonima che incrocia sguardi a loro volta anonimi e sfuggenti. Più rifletto a mente fredda più penso quanto abbia goduto fino in fondo il sapore di questo viaggio, assaporandolo come qualcosa che attendevo da tempo, come quel gelato al gusto di fragola e limone che mangiavo da piccolo, lentamente per paura che finisse, seduto sul piazzale di Copanello, quello a picco sulla scogliera nei caldi pomeriggi di primavera o sul corso principale di Chianciano nelle fresche serate di agosto, di fronte a quei locali pieni di gente ad ascoltare la musica dei piano bar. Porterò con me il ricordo di questo viaggio custodendo ogni esperienze, ogni voce, ogni storia, quella di Carmelo, come quelle di Loredana e Francesca. Custodirò tutto in egual misura e con la stessa cura perché  in fondo in un viaggio così puoi rintracciare la metafora della vita, anch’essa un lungo viaggio che percorriamo in compagnia di tanta gente da cui attingiamo esperienze lasciando in cambio qualcosa di nostro. 

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