“Quando
ti metterai in viaggio devi augurarti che la strada sia lunga, fertile
in avventure e in esperienze perché il viaggio non richiede fretta, deve
piuttosto essere ricco di esperienze”.
Carmelo ha trentotto anni,
giubbotto in pelle, barba incolta, Ray Ban sul naso, è un insegnante
fuori sede uno dei tanti fagocitati dalla “trafila scolastica”, con un
passato ed un presente da libero professionista nel settore tecnico. Ad
attenderlo giù in Calabria ci sono i suoi genitori, la moglie e i suoi
due figlioletti. Francesca è la più giovane della cordata, 23 anni, al
quarto anno di economia, da grande vuole fare il revisore nel settore
terziario. Per ora se ne sta la anche lei sul sedile posteriore
dell’auto con il suo giubbetto, i suoi occhiali da sole, il suo iPhone
con le cuffie, assorta nei suoi pensieri. Ho riflettuto su cosa le
potesse passare in mente durante il tragitto, quasi mi fossi dimenticato
quali pensieri mi affollassero la mente alla sua età. Poi le chiedo
cosa vuole fare da grande e soprattutto dove immagina la sua vita. È
lucida e diretta Francesca, più di quanto mi aspettassi, di certo molto
più di tanti suoi coetanei e nelle sue parole c’è un realismo tutto
sommato non comune nei ventenni di oggi. “Amo Milano - mi risponde - la
sento mia, mi fa stare bene, ma se dovessi giurare di rimanervi non
saprei proprio, la vita riserva tante sorprese, finisco l’università e
poi vediamo”. Loredana 48 anni, anche lei come Carmelo è un’insegnante,
siciliana di Roccalumera. Loredana è su in Lombardia da undici anni,
passata di ruolo tre anni fa, è innamorata del suo lavoro lo capisci
sentendola parlare senza soluzione di continuità, tanto che in
prossimità di Pavia mi tocca specificare in modo perentorio e
naturalmente ironico come una volta oltrepassati i confini della
Lombardia, sarà severamente vietato parlare di qualsivoglia argomento
scolastico. A distanza di molte ore, quasi in dirittura d’arrivo
scoprirò com l’amore di Loredana per il suo lavoro è pari a quello per la sua terra, lo
capisco da come le brillano gli occhi quando superata da poco la
mezzanotte ci affacciamo sullo stretto di Messina illuminato, davanti a
quello specchio d’acqua stranamente immobile e magnetico.
Poi quasi
dimenticavo, a chiudere il quartetto ci sono io, 44 anni compiuti da
qualche mese, giornalista da circa 23 ed oggi, in preda ad un sussulto
di realismo, approdato all’esperienza scolastica nel tentativo di
trovare un necessario se pur tardivo ingresso nei ranghi del settore
pubblico, in ossequio ad una società che cambia, ridisegnando
velocemente ruoli, prospettive ed ambizioni. Insomma, storie personali
che si rincorrono, si intersecano, si mescolano, diventando col passare
dei chilometri esperienza collettiva, trasformando l’abitacolo dell’auto
in un contenitore dove ognuno lascia qualcosa di suo con la certezza
che una volta aperte le portiere nulla potrà volare via. Poi c’è l’altra
componente essenziale di ogni viaggio, le fermate, che prendono la
forma degli Autogrill, un’entità a se stante che fa parte del viaggio, uno di quei luoghi che da sempre incarnano al pari
delle sale d’attesa degli aeroporti o dei centri commerciali piuttosto
che dei vagoni del metrò, l’archetipo più fedele del non luogo, quello
che Marc Augè nella sua opera “Nonluoghi. Introduzione a
un'antropologia della surmodernità” del 2003, definisce come luoghi
incentrati solamente sul presente, altamente rappresentativi della
nostra epoca, caratterizzata da una precarietà assoluta, dalla
provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo
solitario. Ho sempre trovato affascinante l’idea di fermarmi, entrare
in autogrill e di colpo percepire un’automatica spersonalizzazione,
quanto di più catartico si possa desiderare, perché le modalità d'uso
dei nonluoghi sono destinate all'utente medio, all'uomo generico, senza
distinzioni. Si varca quella porta in possesso di un’identità e una
volta dentro diventi soggetto senza un ruolo definito nella società,
semplice entità anonima che incrocia sguardi a loro volta anonimi e
sfuggenti. Più rifletto a mente fredda più penso quanto abbia
goduto fino in fondo il sapore di questo viaggio, assaporandolo come
qualcosa che attendevo da tempo, come quel gelato al gusto di fragola e
limone che mangiavo da piccolo, lentamente per paura che finisse, seduto
sul piazzale di Copanello, quello a picco sulla scogliera nei caldi
pomeriggi di primavera o sul corso principale di Chianciano nelle
fresche serate di agosto, di fronte a quei locali pieni di gente ad
ascoltare la musica dei piano bar. Porterò con me il ricordo di questo
viaggio custodendo ogni esperienze, ogni voce, ogni storia, quella di
Carmelo, come quelle di Loredana e Francesca. Custodirò tutto in egual misura e con la stessa cura perché in fondo in un viaggio così puoi rintracciare la metafora
della vita, anch’essa un lungo viaggio che percorriamo in compagnia di
tanta gente da cui attingiamo esperienze lasciando in cambio qualcosa di
nostro.
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