sabato 25 febbraio 2023

SI SCRIVE POLIS SI LEGGE RESTANZA. PRENDE FORMA L'IMPEGNO DI POSTE ITALIANE IN FAVORE DEI PICCOLI CENTRI CALABRESI

 

Nuova vita per gli uffici postali calabresi, specie per quelli periferici. Col progetto Polis, Poste Italiane sposa infatti il culto della restanza poggiando idealmente la matita sul foglio e ridisegnando la mappa dei servizi in un entroterra dove la bandiera bianca sventola ormai da troppo tempo. Sta nella chiusura dei servizi fondamentali la più lucida metafora di un mondo sulla via del tramonto. Ce lo dicono i numeri di una emigrazione che dopo le aree interne sta via via coinvolgendo anche quelle costiere in favore dei grandi agglomerati urbani e che nel periodo 2004/2020 ha fatto registrare centomila residenti in meno in una regione che, dati alla mano, non supera la soglia del milione e mezzo di abitanti realmente residenti. Razionalizzare è un verbo che nell’ultimo quarantennio, specie alle nostre latitudini ha perso la sua accezione positiva diventando quasi sempre anticamera al de profundis, sinonimo di smobilitazione, di resa. Chiudono le scuole, chiudono i principali servizi a testimoniare una rotta ben precisa, ed è in un contesto come questo che il valore di una governance di qualità diventa sempre più necessario per non abbandonarsi ai fatalismi diventati ormai quasi un patrimonio genetico, per non cadere in una retrotopia sempre a metà strada tra alibi e moto nostalgico. Serve altrochè la buona governance, servono esempi di buone pratiche che diventino nel tempo segnale di speranza, ciambella di salvataggio in un mare di rassegnazione. Servono uomini capaci di unire la ragione al sentimento. A volte per fortuna, ci sono però anche segnali in controtendenza che fotografano una situazione affatto irreversibile, come nel caso dei dati fornitici da Poste Italiane, relativi ad una presenza capillare che vuole andare oltre il valore pratico, consegnandoci un’inversione di tendenza in atto ormai dal 2018. Un trend finalmente positivo, frutto di scelte aziendali che sembrano aver anteposto la ragione alla fredda logica dei numeri. Non più tardi di dodici anni fa un ideale viaggio dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila e le Serre ci consegnava un disarmante quadro di smobilitazione degli uffici postali di frontiera. Basti pensare che (dati 2011) nella sola provincia di Reggio Calabria, un piano di razionalizzazione basato sulle utenze, aveva sancito il funzionamento a singhiozzo degli uffici di Benestare, Bova, Bivongi, Bruzzano, Staiti, Casignana, Melia di Scilla, Montebello Jonico, Pazzano, Platì, Riace, Roccaforte del Greco, Samo, San Lorenzo, Sant’Alessio, Sant’Agata del Bianco, Camini, Candidoni, Canolo, Ciminà, Cosoleto, Laganadi, Martone, Ortì, Placanica, Portigliola, San Giovanni di Gerace, Siderno Superiore, Stignano, Agnana, passando nel giro di appena tre anni (dati ufficiali 2014) alla  definitiva chiusura di Anoia, Campoli di Caulonia, Plaesano di Feroleto della Chiesa, Castellace, Rosalì, Barritteri di Seminara, San Pantaleo, Terreti, Villa San Giuseppe, Capo Spartivento, Careri, Piminoro, Cirello di Rizziconi, Condojanni, Gambarie d’Aspromonte, Pardesca di Bianco, San Nicola di Ardore, San Nicola di Caulonia, Tresilico di Oppido Mamertina, Villamesa di Calanna, San Pier Fedele di San Pietro di Caridà e questo sia ben chiaro, solo per citarne alcuni. Un colpo di scure trasversale che tagliava di netto la dorsale reggina dallo Ionio al Tirreno. Non andava certo meglio risalendo verso la Sila e verso il Pollino dove il quadro si completava con cifre allarmanti che ridisegnavano la geografia antropica in un entroterra evidentemente sempre più povero. Da cinque anni, la musica sembra essere cambiata grazie ad un percorso intrapreso da Poste in collaborazione con i piccoli Comuni.

Oggi lo scenario tracciato ci parla di nuovi investimenti, di aperture, di potenziamenti di servizi già esistenti e creazione di nuovi nelle aree carenti. Uffici Postali rinnovati in molte comunità tra le più piccole della regione, iniziative che si inquadrano nel più ampio piano strategico Environmental, Social and Governance. L’obiettivo complessivo di Poste, di assumere un ruolo chiave nello sviluppo dell’intero sistema Paese, riveste nel caso della Calabria e nello specifico del suo entroterra una valenza eccezionale per quelle che sono le ricadute dirette in termini di servizi ma ancor prima per quelle indirette, per quel possibile effetto domino che molti si augurano. È stato chiaro già nel 2018 l'Amministratore Delegato di Poste Italiane Matteo Del Fante che nel presentare ai sindaci 10 impegni per i piccoli Comuni volle ribadire l'importanza strategica di mantenere aperti tutti gli Uffici Postali situati nei Comuni con meno di 5.000 abitanti. Un impegno quello di Del Fante e dell’azienda andato ben oltre le aspettative in premessa, prendendo corpo, come anticipato in apertura, nel progetto Polis, presentato qualche mese fa a Roma alla presenza di circa cinquemila sindaci. Nello specifico il progetto Polis prevede una collaborazione tra Enti Comunali e Uffici Postali. In questi ultimi potranno essere erogati diversi sevizi della Pubblica Amministrazione resi disponibili presso lo Sportello Unico nei piccoli centri. Si tratta di un intervento massiccio che si focalizza sui piccoli comuni, quasi esclusivamente al di sotto dei di 5.000 abitanti. Una attività di potenziamento che suona come riconoscimento ai tanti calabresi ostinati ed agli amministratori illuminati che negli anni sono rimasti come ultimi baluardi della tutela di territori sempre più marginali. Si rintracciano sensibilità comuni che si incrociano sulle strade calabresi, quelle a pettine che salgono dallo Ionio e dal tirreno verso i monti o quelle che semplicemente tracciano i contorni di una regione lunga e assai variegata, per morfologia e cultura, accomunata per contro da analoghi problemi, mali cronici a cui ogni tanto qualcuno cerca di porre rimedio. Oggi la sensibilità di Poste Italiane, incrocia il cammino dei tanti scrittori, studiosi, camminatori, artisti, che ormai da anni sembrano aver riscoperto l’amore per i luoghi periferici, la consapevolezza di quanto sia necessario un esercizio di sensibilità e lungimiranza per regalarsi un orizzonte, per accantonare il retrogusto amaro che accompagna una terra dove sogni e speranze rimangono spesso incompiuti. Sono tanti, molti di più di quanto non si pensi i calabresi che hanno capito come e quanto l’ideale sogno di riportare la vita in luoghi dove da tempo domina il silenzio, o di conservarla laddove ancora ne rimane traccia, non sia in realtà impresa impossibile. Riattribuire un ruolo centrale alla vita che torna o semplicemente a quella che resta non è utopia, è qualcosa di reale che passa dall’impegno e dall’assunzione di responsabilità. Serve ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, come mi suggerisce l’amico Vito Teti, che con grande gioia ho riabbracciato qualche giorno fa a distanza di qualche anno. Al contrario di quanto avveniva un secolo addietro – continua a ripetere Teti con l’amore e la determinazione che lo contraddistinguono - oggi la più forte forma di sradicamento non la vive più chi parte, quanto invece chi decide di restare”. Oggi possiamo affermare che chi resta, ha certamente qualche strumento in più, per continuare a vivere la quotidianità, ma ancor prima per sperare in un futuro che non sia lontano dai luoghi della propria personale storia.  

domenica 5 febbraio 2023

ASPROMONT HORIZON. A NARDELLO, DAL SOGNO AMERICANO ALLO SPAURACCHIO DEL DISASTRO AMBIENTALE

 

Dopo una prima parte di inverno in sordina, gelo e neve sembrano volersi fare strada e l’Aspromonte si colora di bianco a quote via via più basse. D’altronde il bianco da queste parti rimane colore dominante in ossequio ad una radice linguistica greca dove “asper” non vuole essere abbreviazione di asperrimo, quanto invece eloquente riferimento cromatico, fu infatti proprio il bianco dei calanchi e quello delle nevi nell’immediato entroterra il colore che accolse i primi greci sulle nostre coste e fu perciò proprio da quel primo sguardo, da quel colpo di fulmine che prese origine l’appellativo che oggi in tanti erroneamente accostano alla natura impervia dei luoghi. È strana la neve, fenomeno meteorologico accompagnato sempre da una dicotomia, tormento per i pastori di alvariana memoria, assai meno per quelli 2.0, occasione di gioia per i bambini e di comprensibile sollievo per gli operatori turistici. Ma se vogliamo la neve ha anche un’altra sua valenza che in questa fase storica dove il concetto di educazione al bello è spesso abusato, assume un valore pratico a cui si aggiunge un retrogusto poetico. È quasi come se la neve conservasse nella forma dei suoi cristalli, una cifra stilistica spesso sconosciuta all’uomo. Copre, uniforma, rende tutto uguale la neve, cancellando le storture prodotte dall’uomo, e di storture ne ha viste nel tempo questa montagna, violentata nello spirito e nella forma, nell’immagine e nei contenuti. Le ferite sono in superficie e ben visibili, non si fatica infatti a trovare in un contesto di rara e ancora selvaggia bellezza, elementi che parlano di degrado, di abbandono, di incuria, cattedrali nel deserto che rimangono a perenne testimonianza di scelte scellerate, di miraggi mai realizzati, di improbabili intuizioni naufragate prima ancora di prendere il largo. Dalla ghost town di Cardeto Sud, apoteosi di speculazione edilizia nata verso la metà degli anni settanta, ai ruderi di Piani Moleti in territorio di Ciminà. Dall’ex base NAPS dei Piani di Stoccato in territorio di Oppido Mamertina poco più su della frazione di Piminoro (nata per ospitare i nuclei speciali antisequestri), alla struttura sportiva di Canolo nuova, sui pianori di Zomaro, concepita negli anni ottanta con la velleità di ospitare la preparazione atletica di squadre di calcio professionistiche, mai entrata in funzione e divenuta nel tempo luogo di pascolo per mandrie più o meno sacre. È lungo l’elenco di incompiute, lunga la classifica di ecomostri rimasti a deturpare, a segnare in calce un’epoca che piaccia o meno, va accettata e riconosciuta, d’altra parte lo sappiamo bene come utopia e poesia spesso debbano cedere il passo ad una realtà che quasi mai è come vorremmo. Qualche mese fa, prima che l’inverno si decidesse a fare sul serio, ho rivisitato un luogo, che al pari di quelli prima indicati, testimonia di una incuria e un degrado che reclamano giustizia. 


Questa storia, fa riferimento ad un punto geografico preciso dove si cristallizza un’epoca, una fase storica a molti sconosciuta e assai particolare, durante la quale l’Aspromonte diventa crocevia di rotte internazionali. Il luogo di cui parliamo è monte Nardello. Siamo a circa 1750 metri di quota in territorio del comune di Roccaforte del Greco. Risalendo il crinale di qualche centinaio di metri, siamo a ridosso del Montalto, da dove lo sguardo abbraccia idealmente lo Ionio e il Tirreno, facendo cogliere in tutta la sua maestosità la misura di una collocazione geografica strategica. Per capire cosa succede a Nardello, facciamo un passo indietro, al 1965. In quell’anno sull’Aspromonte succede qualcosa che, fino a qualche anno prima, in una montagna ancora quasi completamente in bianco e nero sembrava impensabile, su quei monti arrivano gli americani. Il progetto, mai del tutto realizzato, si chiama Aspromont Horizon, è questo il nome dello studio che fin dalla fine degli anni 50 venne elaborato dagli Stati Uniti, pensando proprio all’Aspromonte, ma anche alla Sicilia con le basi di Catania e Trapani, come crocevia strategico in tema di raccolta ed elaborazione di dati sensibili.
Dall’altra parte del mondo siamo in piena guerra fredda ed in ballo c’è il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. In questo contesto geopolitico prende vita la storia di Nardello, divenuto nell’immaginario collettivo di quegli anni, luogo quasi mistico su cui aleggiavano una lunga serie di storie più o meno fantasiose che andavano dagli esperimenti con gli ufo, all’utilizzazione di missili, insomma una sorta di area 51 in salsa calabrese. Dopo circa vent’anni di attività, si arriva al 1985, quando l’utilizzo sempre più massiccio dei satelliti determina ufficialmente la fine dell’operatività della base. Abbandonata sul finire degli anni ottanta, nel 1993 viene ufficialmente dismessa e trasferita al Ministero della Difesa italiano, cadendo in totale stato di abbandono. Nei decenni successivi si è assistito ad un saccheggio selvaggio di tutto ciò che poteva essere sottratto, in sfregio a qualsiasi riguardo, a conferma di come nel sentire comune, la res publica si trasformi spesso e facilmente in res nullius. Oggi i luoghi dell’ex base USAF, un’area di circa tre chilometri e mezzo di diametro, in un contesto lunare, disegnato da centinaia di alberi abbattuti dagli incendi degli ultimi anni, si presenta come una distesa desolata dove a preoccupare, più degli alberi abbattuti, sono i residui di amianto che suggeriscono lo spauracchio del disastro ambientale. Da anni le associazioni ambientaliste segnalano il pericolo, ma Nardello, nell’indifferenza generale continua a rimanere là, silenzioso testimone di un sogno americano che ha ceduto il passo ad un neorealismo postmoderno calabrese.