Nuova vita per gli uffici postali
calabresi, specie per quelli periferici. Col progetto Polis, Poste Italiane
sposa infatti il culto della restanza poggiando idealmente la matita sul foglio
e ridisegnando la mappa dei servizi in un entroterra dove la bandiera bianca
sventola ormai da troppo tempo. Sta nella chiusura dei servizi fondamentali la
più lucida metafora di un mondo sulla via del tramonto. Ce lo dicono i numeri di
una emigrazione che dopo le aree interne sta via via coinvolgendo anche quelle
costiere in favore dei grandi agglomerati urbani e che nel periodo 2004/2020 ha
fatto registrare centomila residenti in meno in una regione che, dati alla
mano, non supera la soglia del milione e mezzo di abitanti realmente residenti.
Razionalizzare è un verbo che nell’ultimo quarantennio, specie alle nostre
latitudini ha perso la sua accezione positiva diventando quasi sempre
anticamera al de profundis, sinonimo di smobilitazione, di resa. Chiudono le
scuole, chiudono i principali servizi a testimoniare una rotta ben precisa, ed
è in un contesto come questo che il valore di una governance di qualità diventa
sempre più necessario per non abbandonarsi ai fatalismi diventati ormai quasi
un patrimonio genetico, per non cadere in una retrotopia sempre a metà strada
tra alibi e moto nostalgico. Serve altrochè la buona governance, servono esempi
di buone pratiche che diventino nel tempo segnale di speranza, ciambella di
salvataggio in un mare di rassegnazione. Servono uomini capaci di unire la
ragione al sentimento. A volte per fortuna, ci sono però anche segnali in
controtendenza che fotografano una situazione affatto irreversibile, come nel
caso dei dati fornitici da Poste Italiane, relativi ad una presenza capillare
che vuole andare oltre il valore pratico, consegnandoci un’inversione di
tendenza in atto ormai dal 2018. Un trend finalmente positivo, frutto di scelte
aziendali che sembrano aver anteposto la ragione alla fredda logica dei numeri.
Non più tardi di dodici anni fa un ideale viaggio dal Pollino all’Aspromonte,
passando per la Sila e le Serre ci consegnava un disarmante quadro di
smobilitazione degli uffici postali di frontiera. Basti pensare che (dati 2011)
nella sola provincia di Reggio Calabria, un piano di razionalizzazione basato
sulle utenze, aveva sancito il funzionamento a singhiozzo degli uffici di
Benestare, Bova, Bivongi, Bruzzano, Staiti, Casignana, Melia di Scilla,
Montebello Jonico, Pazzano, Platì, Riace, Roccaforte del Greco, Samo, San
Lorenzo, Sant’Alessio, Sant’Agata del Bianco, Camini, Candidoni, Canolo,
Ciminà, Cosoleto, Laganadi, Martone, Ortì, Placanica, Portigliola, San Giovanni
di Gerace, Siderno Superiore, Stignano, Agnana, passando nel giro di appena tre
anni (dati ufficiali 2014) alla
definitiva chiusura di Anoia, Campoli di Caulonia, Plaesano di Feroleto
della Chiesa, Castellace, Rosalì, Barritteri di Seminara, San Pantaleo,
Terreti, Villa San Giuseppe, Capo Spartivento, Careri, Piminoro, Cirello di
Rizziconi, Condojanni, Gambarie d’Aspromonte, Pardesca di Bianco, San Nicola di
Ardore, San Nicola di Caulonia, Tresilico di Oppido Mamertina, Villamesa di
Calanna, San Pier Fedele di San Pietro di Caridà e questo sia ben chiaro, solo
per citarne alcuni. Un colpo di scure trasversale che tagliava di netto la dorsale
reggina dallo Ionio al Tirreno. Non andava certo meglio risalendo verso la Sila
e verso il Pollino dove il quadro si completava con cifre allarmanti che
ridisegnavano la geografia antropica in un entroterra evidentemente sempre più
povero. Da cinque anni, la musica sembra essere cambiata grazie ad un percorso
intrapreso da Poste in collaborazione con i piccoli Comuni.
Oggi lo scenario tracciato ci parla di nuovi investimenti, di aperture, di potenziamenti di servizi già esistenti e creazione di nuovi nelle aree carenti. Uffici Postali rinnovati in molte comunità tra le più piccole della regione, iniziative che si inquadrano nel più ampio piano strategico Environmental, Social and Governance. L’obiettivo complessivo di Poste, di assumere un ruolo chiave nello sviluppo dell’intero sistema Paese, riveste nel caso della Calabria e nello specifico del suo entroterra una valenza eccezionale per quelle che sono le ricadute dirette in termini di servizi ma ancor prima per quelle indirette, per quel possibile effetto domino che molti si augurano. È stato chiaro già nel 2018 l'Amministratore Delegato di Poste Italiane Matteo Del Fante che nel presentare ai sindaci 10 impegni per i piccoli Comuni volle ribadire l'importanza strategica di mantenere aperti tutti gli Uffici Postali situati nei Comuni con meno di 5.000 abitanti. Un impegno quello di Del Fante e dell’azienda andato ben oltre le aspettative in premessa, prendendo corpo, come anticipato in apertura, nel progetto Polis, presentato qualche mese fa a Roma alla presenza di circa cinquemila sindaci. Nello specifico il progetto Polis prevede una collaborazione tra Enti Comunali e Uffici Postali. In questi ultimi potranno essere erogati diversi sevizi della Pubblica Amministrazione resi disponibili presso lo Sportello Unico nei piccoli centri. Si tratta di un intervento massiccio che si focalizza sui piccoli comuni, quasi esclusivamente al di sotto dei di 5.000 abitanti. Una attività di potenziamento che suona come riconoscimento ai tanti calabresi ostinati ed agli amministratori illuminati che negli anni sono rimasti come ultimi baluardi della tutela di territori sempre più marginali. Si rintracciano sensibilità comuni che si incrociano sulle strade calabresi, quelle a pettine che salgono dallo Ionio e dal tirreno verso i monti o quelle che semplicemente tracciano i contorni di una regione lunga e assai variegata, per morfologia e cultura, accomunata per contro da analoghi problemi, mali cronici a cui ogni tanto qualcuno cerca di porre rimedio. Oggi la sensibilità di Poste Italiane, incrocia il cammino dei tanti scrittori, studiosi, camminatori, artisti, che ormai da anni sembrano aver riscoperto l’amore per i luoghi periferici, la consapevolezza di quanto sia necessario un esercizio di sensibilità e lungimiranza per regalarsi un orizzonte, per accantonare il retrogusto amaro che accompagna una terra dove sogni e speranze rimangono spesso incompiuti. Sono tanti, molti di più di quanto non si pensi i calabresi che hanno capito come e quanto l’ideale sogno di riportare la vita in luoghi dove da tempo domina il silenzio, o di conservarla laddove ancora ne rimane traccia, non sia in realtà impresa impossibile. Riattribuire un ruolo centrale alla vita che torna o semplicemente a quella che resta non è utopia, è qualcosa di reale che passa dall’impegno e dall’assunzione di responsabilità. Serve ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, come mi suggerisce l’amico Vito Teti, che con grande gioia ho riabbracciato qualche giorno fa a distanza di qualche anno. Al contrario di quanto avveniva un secolo addietro – continua a ripetere Teti con l’amore e la determinazione che lo contraddistinguono - oggi la più forte forma di sradicamento non la vive più chi parte, quanto invece chi decide di restare”. Oggi possiamo affermare che chi resta, ha certamente qualche strumento in più, per continuare a vivere la quotidianità, ma ancor prima per sperare in un futuro che non sia lontano dai luoghi della propria personale storia.