domenica 23 agosto 2015

23 AGOSTO '91 FINE DI UN CAPITOLO LUNGO TRENT'ANNI




Saluti, partenze, promesse di rivedersi magari a Natale o alla peggio la prossima estate, insomma il solito copione di una stagione che cala i titoli di coda, lo dicono le auto, ne conto sempre meno lungo via IV Novembre, lo dice l’aria pungente che su da noi in Aspromonte costringe al giubbino ed alla felpa. Considerando tutto questo ed aggiungendoci anche la stanchezza di molte notti bianche o se preferite in bianco, stasera sono rimasto a casa a pensare. È strana l’atmosfera stasera, è una di quelle sere in cui ti passano in testa un sacco di cose che non riesci a mettere bene in ordine, una di quelle sere durante le quali molte, forse troppe cose sembrano suggerirti un  deja vu dal retrogusto amaro.
La luna è luminosissima, la sto osservando da un pezzo da dietro la finestra, la guardo perché sembra suggerirmi qualcosa di cui non riesco a scorgere bene i contorni, poi di colpo la radio passa “Tru Blue” di Madonna, un pezzo dell’86 che i meno giovani conosceranno di sicuro, e tutto mi torna alla mente chiarissimo come se il tempo non fosse mai passato. Mi sale un brivido lungo la schiena mentre penso che è davvero pazzesco, c’erano la stessa luna e la stessa canzone mentre mi trovavo esattamente nello stesso posto, saranno state circa le 23:00 del 22 agosto del 91, la sera dopo sarebbe stata una di quelle che molti di certo non avrebbero mai più dimenticato. Maria era affacciata al balcone da circa un’oretta ad attendere che i suoi due fratelli facessero rientro a casa dopo una cena con amici, giù in marina in una casetta in campagna, a Peristerèa, una contrada rurale del comune di Bova Marina che si raggiunge attraverso una strada assai improbabile che risale dalla statale 106 ionica per circa 10 km costeggiando il letto della fiumara San Pasquale e percorrendo nell’ultimo tratto anche il suo alveo. Il copione era quello di sempre, la carne di capra, il salame ed i formaggi fatti in casa, e poi le solite facce, i soliti sguardi quelli che Ciccio e Pino incrociavano da sempre, insomma tutto come al solito, e invece no, perché quella non sarebbe stata una sera come le altre. La mezzanotte è passata da un pezzo e Maria è ancora su quel balcone, ci rimarrà fin verso le due, fino a quando un codazzo di amici e conoscenti salirà a raggiungerla per darle una notizia che lei in realtà, non si sa per quale motivo sembrava avere intuito da un pezzo, come oppressa da un oscuro presagio. Il solito copione, quello di cui vi parlavo, cambia in modo inatteso e drammatico verso le 23:40. La cena giù nelle gole del San Pasquale è appena finita e i due fratelli si avviano verso la 131 grigio metallizzato di Pino per fare rientro a casa, è a quel punto che da dietro un muretto di contenimento spuntano degli uomini che impugnano fucili e pistole, i bersagli sono proprio i due fratelli, Ciccio cade accanto all’auto colpito prima al fianco e poi finito col rituale colpo di grazia, stessa sorte per Pino che rimane seduto al volante con un piede ancora fuori dall’abitacolo. I fucili da caccia caricati a pallettoni e le pistole dei killer tuonano in una landa desolata e solitaria lanciando un lungo eco cui fa seguito un silenzio assordante. È una Calabria ancora profondamente bagnata dal sangue quella di quegli anni, sono anni dove i conti in sospeso si chiudono col piombo, senza tanti fronzoli, con sentenze che non prevedono appello e quei due cadaveri che sporcano di rosso una notte di fine estate sono le ennesime vittime di una mattanza che solo in provincia di Reggio dall’inizio dell’anno ha toccato quota 186, ma quelli non sono morti qualsiasi, Pino e Ciccio sono Pasquale, solo per gli amici (Pino) e Francesco Foti, il primo, sindaco di Bova per ben trent’anni fino al maggio dell’anno prima ed il secondo dipendente comunale responsabile dell’ufficio ragioneria, insomma un duplice delitto non di poco conto, uno di quelli destinati a fare clamore quasi quanto quello del giudice Antonino Scopelliti ammazzato appena quindici giorni prima, e invece stranamente nessun clamore, nessun terremoto e ovviamente manco a dirlo nessun colpevole, tutto mestamente anonimo, come se trent’anni di vita bovese, di governo della cosa pubblica, di storia personale divenuta nel tempo inevitabilmente collettiva, fossero terminati nell’indifferenza generale, quasi come se tutto fosse di colpo evaporato al tuonare delle lupare. Continuo a guardare la luna e col passare del tempo mi tornano alla mente momenti che pensavo di avere rimosso. I ricordi partono dalle 12:30 dello stesso giorno di ventiquattro anni fa. Ero sul divano di casa in attesa del pranzo quando si aprì la porta e da dietro la tenda comparvero le sagome di mio padre e di Pino Foti che io, per giusta imposizione proprio di mio padre chiamavo rigorosamente Dottore e proprio lui in quel momento, sorridendomi come era solito fare mi chiese se mi andava di accompagnarlo ad una cena, dicendomi che il fratello sarebbe sceso a Bova Marina un po prima per altri impegni, ci avrebbe raggiunti poi alla cena. Io risposi che non potevo perché pomeriggio al campo sportivo avremmo giocato la classica partita di fine estate, quella tra scapoli ed ammogliati cui avrebbe fatto seguito la cena, una rapida occhiata e il Dottore mi saluta dicendo, ok dai non fa niente, allora buona partita e buona cena, ci vediamo domani. Non avrei mai immaginato che sarebbe stata l’ultima occasione di vedere quel viso ed ascoltare quella voce. Ricordo ancora quella sera, avevamo allestito una lunga tavolata nel piazzale di fronte l’ufficio postale e a quel tavolo sedeva con noi anche Rocco, il figlio di Ciccio, il nipote di Pino per intenderci. Mezzanotte e trenta era passata da un pezzo quando ormai stanchissimo salutai guadagnando la via di casa in compagnia di Mario, un mio compagno di scuola che ogni estate veniva a trascorrere qualche settimana da me. A letto su in mansarda si chiacchierava prima di prendere sonno, si parlava della scuola, tra meno di un mese sarebbe iniziato l’anno fatidico della maturità. Non ricordo a che punto si sia interrotto il discorso, evidentemente il sonno fu così pesante che del trambusto di quella notte non avvertimmo nulla, non avvertì il pianto di mia madre quando vennero a bussare al portone, non vidi gli occhi stravolti di mio padre, quelli li vidi solo la mattina successiva, verso le 7:30 quando venne a svegliarci con la faccia allucinata dicendoci: “hanno ammazzato Pino e Ciccio”. In quel preciso momento fu come se si fosse fermato il mondo, come se tutto quello che avevo conosciuto fino a quel momento fosse scomparso per sempre avvolto da una confusione che non riuscivo a diradare. Stentavo a realizzare che Ciccio e Pino non c’erano più, non volevo accettare l’idea di non poter più rivedere quei volti assai familiari che avevano accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza, mi faceva male l’idea di non aver più potuto dire loro le tante cose che ancora non avevo detto, ma soprattutto col passare dei mesi ebbi l’impressione sempre più netta che si fosse chiuso un capitolo lunghissimo, l’unico che fino a quel momento avessi conosciuto e questo mi provocava un fastidioso senso di disorientamento. Si chiudeva dunque e nel peggiore dei modi, sotto una luna di fine agosto, una parentesi lunga un trentennio, Bova ed i bovesi giravano per sempre una pagina della loro storia recente che tanti, compreso il sottoscritto non avrebbero mai potuto dimenticare, ma che molti, forse troppi sembrano avere da un pezzo dimenticato. Pensavo proprio questo guardando la luna dalla finestra di casa ascoltando il pezzo di Madonna, pensavo che trent’anni di storia politica e personale non sono certo pochi, sono un lasso di tempo dove trovato spazio eventi, volti ma soprattutto rapporti personali, alcuni solidi altri passeggeri e mossi dall’opportunità del momento, ma tutto sommato, con gli anni ho imparato che non ci si deve meravigliare, si sa, la gente non è quasi mai grata, quanto gli viene negato sarà perenne motivo di rancore, quanto gli viene concesso era invece dovuto, e Pino e Ciccio di concessioni ne hanno dispensate a piene mani regalando dignità a tanta gente che, a conti fatti, forse non l’avrebbe meritata. Insomma, verrebbe da dire, morto un Papa se ne fa un altro e la capacità di  riciclarsi non è artifizio per pochi, anzi, è pratica assai in voga. Lasciamo stare le polemiche, sarebbero fuori luogo, oggi continuo a guardare dalla finestra, penso che tra qualche ora saranno 24 anni esatti da quella maledetta sera, continuo a guardare la luna, chiudo gli occhi ed il pensiero rivolto al cielo fotografa in modo netto quei due volti sorridenti, quelli che mi accompagnavano fin da bambino, il cielo, bello come allora, nel frattempo si è popolato di tanta altra gente, tanti protagonisti di quel lungo periodo, oggi Pino e Ciccio sono un po meno soli, oggi guardano da lassù un paese profondamente diverso nella forma, forse un po meno nella sostanza e nel sentimento della gente, quella gente che, sono certo,  Pino, Ciccio e gli altri staranno guardando facendosi una sonora risata.                                    

Nessun commento:

Posta un commento