domenica 22 marzo 2015

SUL BINARIO DELLA MEMORIA


 Spesso i luoghi fisici sono legati a segni distintivi ben precisi, caratteristiche geografiche, storia, aneddoti, personaggi e monumenti che diventano elementi di immediata identificazione. Chi giunge a Bova, dopo aver percorso i circa 9 km che separano il centro dalla marina avverte fin da subito di trovarsi in un luogo speciale. A qualche metro dal centro, in una piazzetta ribattezzata Piazza ferrovieri d’Italia, c’è la locomotiva a vapore GR 740/054, costruita nel 1912 nelle acciaierie Ansaldo di Genova Sampierdarena.

Non è facile da spiegare il senso della sua presenza, né ricostruire l’impresa che l’ha condotta fin la circa trent'anni addietro. Per Pasquale Foti, sindaco di allora la locomotiva diventava un simbolo dell’emigrazione al contrario. «Il locomotore - diceva - è il primo mezzo con cui la gente è partita per abbandonare la propria terra. Non andate più via, noi ve lo portiamo sotto casa», insomma una trovata romantica e un po’ bizzarra che prestava il fianco alle polemiche, ma questo lui, politico di lungo corso, sindaco di Bova per un buon trentennio lo aveva già messo in conto.

Qualche giorno addietro si è ripetuto un rituale a cui ormai siamo abituati, un ciclista solitario si ferma e mi chiede se ho tempo di scattargli una foto. Dopo averlo salutato non so perché ho ripensato a quella giornata memorabile che aveva preso davvero tutti, un intero paese, quelli emotivamente coinvolti e quelli che assistevano inermi e quasi rassegnati ad un’impresa da molti ritenuta priva di significato. Certo, la giornata del trasferimento della locomotiva non la dimenticherò mai, un tour de force interminabile iniziato alle 9:20 del mattino e terminato venti minuti dopo la mezzanotte, ben quindici ore dopo, tante ce ne vollero per percorrere quei 14 infiniti chilometri di tornanti. Ad un tratto però sono assalito da uno strano nervosismo causato dai ricordi che si fanno via via sfocati confondendo i dettagli. Senza pensarci due volte salgo in macchina e mi dirigo verso Bova marina dove c’è chi mi può venire in soccorso e vado a bussare dritto alla sua porta. Tra i tanti testimoni di quella impresa uno in particolare ha inciso per sempre su quella storia il suo nome, si chiama Vincenzo Cavallaro, un ferroviere ormai in pensione, all’epoca capo tecnico della linea ionica. In quella occasione fu incaricato dal sindaco di progettare e seguire i lavori di costruzione del tronco di binario che avrebbe ospitato la locomotiva. Il signor Cavallaro mi accoglie felice, immagina già cosa voglio e senza che gli chieda nulla inizia a ricordare un aneddoto «Mi ricordo di voi quel giorno, avete passato tutto il tempo a seguirci a bordo di una moto». Dopo avere ascoltato le sue parole ci guardiamo un attimo negli occhi con un’intesa immediata, quella che parte quando si ricordano certi avvenimenti che rappresentano un comune legame col passato. Signor Cavallaro ci sono passaggi che non riesco a ricordare. «Sapete una cosa Gianfranco, molti sostengono che il treno a Bova non c’entri nulla, beh vi dico che nel 1868 quando il Comune sulla costa ancora non esisteva, nacque la prima fermata del treno in quella che si chiamava marina di Bova. La locomotiva GR 740/054 fa parte di un gruppo costruito tra il 1911 e il 1923, ed è stata una delle ultime a sopravvivere in attività fino al 1990, espletando un servizio come macchina di riserva o come traino del carro soccorso. Se penso a quella giornata ancora ho i brividi. 


Settimane prima, la locomotiva venne trasportata dal deposito di Castelvetrano (Tp) a quello di Reggio, dove alcune perizie sentenziarono l’impossibilità di trasportarla fino a Bova. Quel verdetto fece scattare la sfida nella quale il sindaco mi volle coinvolgere, era il 1987. Dopo il rifiuto di alcune ditte di trasporti, finalmente trovammo una che si fece carico di portare a termine l’impresa. Circa una settimana prima del trasporto del locomotore, ci fu il trasferimento del tender su un carrello gommato, passaggio che servì anche come test preliminare per verificare sul campo le difficoltà del tragitto. L’eccessivo peso del locomotore, circa 66 tonnellate, costrinse l’autotrasportatore a far giungere direttamente da Patti (Me) un carrello per trasporti speciali con tutte le ruote sterzanti. Arrivato il grande giorno e trasferito il locomotore alla stazione di Condofuri, iniziarono le operazioni di trasferimento sul carrello e il successivo ancoraggio. 

Partimmo da Condofuri verso le 8:40, se non sbaglio era il mese di ottobre, dopo avare percorso la Ss 106 fino al bivio per Bova, prendemmo la salita verso le 9:20. Ricordo che il carrello era trainato da una motrice e in supporto c’erano un camion carico di inerti e una pala gommata, che servivano a modificare i tornanti qualora il carrello non fosse riuscito a girare agevolmente, cosa che puntualmente si verificò. Dopo una salita interminabile, trasformatasi in una processione di curiosi, arrivammo al bivio del cimitero di Bova dove oggi si imbocca la nuova strada, alcuni lavori avevano provocato l’assenza dell’asfalto che causò la deformazione di un’asta di traino: furono attimi di puro terrore. Superata anche quella prova, raggiungemmo le prime case della periferia, dove la gente stava affacciata aspettando ormai da ore lo spettacolo. Ricordo un vecchio invalido, portato fuori su una sedia a vedere il treno, mezzo che non aveva mai visto in vita sua. Giunti in piazza, ad attenderci c’era praticamente tutto un paese, diviso tra scene di festa e di incredulità. Il giorno dopo venne la parte più difficile, collocare il locomotore sul binario. Ci riuscimmo con l’ausilio di rotaie mobili, che servirono da guida per far scivolare (non senza rischi) quel colosso nella sua sede definitiva. Gianfranco, fu un’impresa incredibile. Ma che ve lo dico a fare, voi la ricordate quanto me». Si commuove Cavallaro nel ricordare quei momenti, si commuove ancora di più nel ricordare la tanta gente protagonista di quell’impresa, gente che ora non c’è più. «Quella locomotiva rappresenta più di quanto tanti immaginino, perché tanta gente non c’è più mentre lei rimane là, un po’ dimenticata, un po’ defraudata e, nonostante in tutti questi anni abbiamo sentito di tutto, rimane un dato di fatto, quel gigante che il sindaco voleva iscrivere nel guinnes dei primati come il locomotore più alto d’Italia, oggi rappresenta un’attrazione per tanta gente che continua a stupirsi. Lo stupore e le foto ricordo mi dicono che il coraggio di quel sindaco, e l’impegno di tutti quelli che come me hanno rischiato in quella lunga giornata, non sono stati inutili. Se mi consentite, vorrei chiudere con un ricordo bello, anche questo condiviso con voi in una giornata memorabile. Ricordate la cerimonia di inaugurazione il 7 maggio 1988? Sul palco c’era Arnaldo Chisari, direttore generale del Ministero dei trasporti. Ho ancora negli occhi Chisari e il sindaco che mi danno una medaglia d’oro in ricordo dell’impresa».

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