venerdì 13 marzo 2020

LUNGO I SENTIERI DELLA NOSTRA VITA, SALUTANDO UN NUOVO TRAMONTO


E salutiamolo un altro tramonto, uno dei tanti che ci hanno tenuto compagnia in questo inverno anomalo che mai avremmo pensato ci avrebbe potuto riservare, proprio sui titoli di coda uno scherzo di questo genere. E pure, se non fosse per questa bolla irreale che ci avvolge, per questa narcosi a cui tutti, in un modo o nell’altro ci siamo nostro malgrado abbandonati, se non fosse per quest’aria innaturale, a guardarlo così questo tramonto, con quella luce rosso acceso che disegna riflessi sul mare e sull’Etna, sembrerebbe uno di quei tanti dipinti partoriti da questa terra a cui pur essendo abituati da una vita, ci approcciamo sempre con rispetto e meraviglia come si fa davanti ad ogni opera d’arte. 


Lo salutiamo un altro giorno, ognuno a modo nostro nel silenzio di un paese che sembra rimasto con un suo spazio fisico ma certamente fuori da un tempo fermo per decreto, per coscienza e soprattutto per paura. La mattina inizia col caffè in cucina, una fetta biscottata col miele e poi si va su verso la montagna su sentieri solitari e familiari che richiamano una normalità ricercata ormai in ogni centimetro quadrato del nostro mondo e del nostro cervello, ricercata con necessaria solitudine. Guardare al passato, ai luoghi della nostra vita, a quei sentieri di pietra e arbusti, ai ricordi, quelli recenti e quelli lontani è un modo per ripetere a noi stessi più che a chiunque altro che esistiamo ancora, che siamo vivi, che resistiamo affermando una capacità di rigenerazione quasi primordiale. Ripartiremo è vero, non senza contraccolpi, non senza conseguenze di natura economica ma soprattutto psicologica e sociale, non è frenata questa che si possa archiviare in fretta e senza dolore. Nel silenzio irreale del borgo e poi in quello bucolico della montagna alle spalle del paese, interrotto solo dalle campane delle capre e delle mucche attaccate a quei collari di legno intagliati con i richiami della tradizione greca, ho pensato qualcosa che mi ha fatto sorridere a denti stretti, ho pensato a quanto la sorte si diverta a disegnare ideali rivincite, come quella delle circa mille ghost town italiane, quei piccoli centri che conoscono il silenzio da decenni e da lustri, quelli che rimangono in piedi a testimoniare ciò che è stato e che poteva essere in un continuo rincorrersi di sentimenti contrastanti che regalano un’alternanza di rammarico e rassegnazione. Ho pensato ad uno scherzo del destino che oggi fa sentire quei paesi un po' meno soli, perché il destino sa dare, sa togliere e a volte ma solo a volte anche riequilibrare. Sono piene di volti e di pensieri queste giornate infinite, i volti e i pensieri di chi riscopre antichi sentieri di montagna, di chi contempla la natura, di chi seduto su una roccia si consola con un libro, di chi inforca la mountain bike sperando di non incappare nei controlli dei Carabinieri Forestali, correndo lungo viali costellati da filari di alberi ridotti a scheletri di legno in attesa di vestirsi con i colori di una primavera che mai come adesso attendiamo come metafora di rinascita. C’è chi va a fare la spesa, chi si dedica al bricolage, chi segue i figli nei compiti tenendo accesa l’idea di una scuola che come tutto il resto ripartirà col suono della campanella mai come adesso agognato da piccoli e grandi studenti. Poi in questo gioco di specchi, in questo intersecarsi di storie personali e collettive aggrovigliate in cerca di normalità, c’è anche chi lascia questa vita, chi va via senza fare rumore, senza disturbare per come aveva vissuto, chi saluta nel silenzio irreale di un paese attonito, scosso e commosso, dopo avere combattuto e resistito inutilmente un male evidentemente troppo più forte. 
 È coincidenza beffarda e straziante ho pensato, seduto mentre guardavo la valle, è coincidenza dolorosa e triste mi sono detto, andare via in un momento così, accompagnati dal silenzio, senza quell’ideale abbraccio che parla di retaggi magnogreci, di afflato, di comunità di un entroterra che ancora resiste nei suoi sorrisi e soprattutto nei suoi dolori che da personali si fanno sempre collettivi. Ho pensato che il destino da, il destino toglie e a volte riequilibra, ma solo a volte, perché non è vero che la fortuna si bilancia, non è affatto vero, c’è chi ne ha di più e chi ne ha di meno, è un tiro a sorte, una pesca, infili la mano e tiri fuori il bastoncino più lungo o quello più corto, tutto qua. Ho pensato che quando va via un volto familiare, uno del paese, uno della tua comunità, si perde tutti qualcosa, si perde un amico e con lui una parte della nostra vita e della nostra personale storia, insomma si volta per sempre una pagina sapendo che le pagine continueranno a diminuire. E ci ritroviamo al calar della sera ancora tutti in questa grande bolla, che neanche la fiamma del camino riesce a sciogliere, un involucro invisibile dentro cui c’è silenzio e c’è frastuono, il silenzio del paese e il frastuono dei pensieri. Domattina certamente ci alzeremo un po' più soli, un po' più storditi, un po' più tristi, rivolti comunque sempre a oriente dove sorge il sole, a guardare dietro la sagoma delle montagne, a osservare la nostra vita e la nostra terra illuminate a giorno, cercando di trovare nel calore di quei raggi un motivo per muoverci anche dentro questa caspita di bolla scivolosa e stretta da cui nonostante tutto, con tenacia continueremo a osservare albe e tramonti sempre più belli che leggeremo come segnali di normalità e di speranza….

 

1 commento:

  1. Complimenti caro cugino Gianfranco per questo tracciato poetico e reale, con la speranza che la stagione del risveglio della natura, dei nidi e dei progetti estivi che ci faceva tanto sognare possa segnare un agognato ritorno alla normalità e che questa esperienza possa servire per passare dalla tecnologia alla coltura per riscoprire il valore della montagna. Un abbraccio e un saluto a tutti voi.

    Cugino Nuccio Altomonte

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