Pubblicato su www.calabriaonweb.it
Si appresta ad entrare nel vivo l’estate, con i suoi
colori, i suoi suoni, i suoi profumi, quelli che nel cuore della Calabria graca
sanno sempre di passato, su quei monti dove il tempo sembra essersi fermato,
dove i ritmi scorrono talmente lenti da sembrare spesso immobili, sempre
uguali, in un alternarsi di stagioni che restituiscono la cartolina di una
Calabria contadina, pezzo da museo all’aperto, dove il profumo della storia
convive sempre con un accennato e stentato tentativo di guardare avanti, verso
una modernità mai del tutto compiuta e forse mai del tutto voluta.
Da Roccaforte del Greco a Gallicianò ed Amendolea, passando per Staiti, Palizzi e Pietrapennata, per terminare un ideale percorso ad anello nel cuore di Bova centro più rappresentativo e ad oggi ancora più vivo e popolato, su quelle strade che profumano di tufo e pietra calcarea, di ginestra e cisto marino, che se le percorri ascolti tante voci, quelle di Omero e Tucidide, di Plinio il vecchio e Strabone, l’estate ripropone sempre lo stesso clichè, in luoghi sofferti, marginali, immobili che si attraversano con la stessa angoscia di chi vive una lunga notte nell’attesa dell’alba. Per la minoranza cocciuta, romantica o forse solo realista, per quei testardi che nel cuore della montagna greca di Calabria, nella trincea dei luoghi di confine continuano ad immaginare un futuro, c’è un presente amaro. Chi resta lo fa accettando di vivere sospeso tra la speranza e il dolore, lo fa portando negli occhi le immagini attuali di case e piazze sempre più vuote che si alternano a quelle sfocate del ricordo di come erano, piene di vita, di socialità, depositarie di un’anima che oggi si fatica anche solo ad immaginare. Spesso penso che sarebbe bello ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, ponendosi in maniera nuova il problema di chi resta, perché come mi suggerisce l’amico Vito Teti, scegliere di rimanere nei paesi oggi significa mettersi in discussione, al contrario di ciò che avveniva un secolo addietro, oggi la più forte forma di sradicamento la vive chi decide di rimanere non più chi parte. Ad alimentare un sentimento a metà strada tra la malinconia e la speranza ci sono le istantanee offerte da una stagione estiva sempre magica, suadente, ipnotica che accendono i riflettori su un nuovo modo di leggere il problema delle aree interne, oggi forse più vivo rispetto a qualche decennio fa ma anche più affrontabile, perché lunghi anni di marcia verso il sud delle marine non hanno spento del tutto l’ideale sogno di un percorso a ritroso che tanta gente percorre riannodando il filo della propria personale storia, quello mai spezzato alla ricerca dei luoghi identitari, lontani da quelli che Marc Augè ama definire “non luoghi”. E così l’estate ci regala un senso di malinconia e speranza, racchiuso nelle vie e nelle piazze che si popolano di gente, nelle luci accese dietro finestre buie per il resto dell’anno. Suggestioni profonde ed amare, prodighe di rimpianti per quello che poteva essere e non è stato, cariche di speranza per ciò che forse, volendo si potrebbe ancora immaginare. Equilibristi stanchi i Greci di Calabria, acrobati malinconici su di un filo, sospesi, sempre in bilico tra l'Aspromonte e il mare, protesi come sono, ora verso la distesa azzurra dello Ionio, blu profondo, con striature color porpora e colori cangianti, ora verso le foreste di leccio e castagno o guardando ancora più su, verso quelle di faggio e abete bianco. Hanno un'anima poliedrica che guarda ad oriente, una malinconia scolpita nelle rughe del viso, a cui alternano un innato spirito di resilienza, quasi le radici non volessero staccarsi mai del tutto dal suolo, continuando ad alimentare il fusto, i rami e le foglie, resistendo al vento freddo di grecale o a quello soffocante di scirocco che da queste parti sanno essere assai feroci. Ci sono alcune parole chiave utili a leggere non tanto il passato, quanto il presente ed il futuro di questa gente, di questi luoghi dove il bagliore dei calanchi ed il bianco delle nevi d’inverno sanno regalare un candore che sa di accoglienza, di sorrisi accennati, di calda filoxenìa. Le parole chiave sono quelle già menzionate, radici, fusto, rami, foglie e soprattutto resilienza, perché accanto alle cartoline dei paesi che si svuotano, accanto al dramma dell’abbandono dei versanti più interni troviamo per fortuna anche i volti ed i sorrisi di chi resiste regalando speranza.
Da Roccaforte del Greco a Gallicianò ed Amendolea, passando per Staiti, Palizzi e Pietrapennata, per terminare un ideale percorso ad anello nel cuore di Bova centro più rappresentativo e ad oggi ancora più vivo e popolato, su quelle strade che profumano di tufo e pietra calcarea, di ginestra e cisto marino, che se le percorri ascolti tante voci, quelle di Omero e Tucidide, di Plinio il vecchio e Strabone, l’estate ripropone sempre lo stesso clichè, in luoghi sofferti, marginali, immobili che si attraversano con la stessa angoscia di chi vive una lunga notte nell’attesa dell’alba. Per la minoranza cocciuta, romantica o forse solo realista, per quei testardi che nel cuore della montagna greca di Calabria, nella trincea dei luoghi di confine continuano ad immaginare un futuro, c’è un presente amaro. Chi resta lo fa accettando di vivere sospeso tra la speranza e il dolore, lo fa portando negli occhi le immagini attuali di case e piazze sempre più vuote che si alternano a quelle sfocate del ricordo di come erano, piene di vita, di socialità, depositarie di un’anima che oggi si fatica anche solo ad immaginare. Spesso penso che sarebbe bello ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, ponendosi in maniera nuova il problema di chi resta, perché come mi suggerisce l’amico Vito Teti, scegliere di rimanere nei paesi oggi significa mettersi in discussione, al contrario di ciò che avveniva un secolo addietro, oggi la più forte forma di sradicamento la vive chi decide di rimanere non più chi parte. Ad alimentare un sentimento a metà strada tra la malinconia e la speranza ci sono le istantanee offerte da una stagione estiva sempre magica, suadente, ipnotica che accendono i riflettori su un nuovo modo di leggere il problema delle aree interne, oggi forse più vivo rispetto a qualche decennio fa ma anche più affrontabile, perché lunghi anni di marcia verso il sud delle marine non hanno spento del tutto l’ideale sogno di un percorso a ritroso che tanta gente percorre riannodando il filo della propria personale storia, quello mai spezzato alla ricerca dei luoghi identitari, lontani da quelli che Marc Augè ama definire “non luoghi”. E così l’estate ci regala un senso di malinconia e speranza, racchiuso nelle vie e nelle piazze che si popolano di gente, nelle luci accese dietro finestre buie per il resto dell’anno. Suggestioni profonde ed amare, prodighe di rimpianti per quello che poteva essere e non è stato, cariche di speranza per ciò che forse, volendo si potrebbe ancora immaginare. Equilibristi stanchi i Greci di Calabria, acrobati malinconici su di un filo, sospesi, sempre in bilico tra l'Aspromonte e il mare, protesi come sono, ora verso la distesa azzurra dello Ionio, blu profondo, con striature color porpora e colori cangianti, ora verso le foreste di leccio e castagno o guardando ancora più su, verso quelle di faggio e abete bianco. Hanno un'anima poliedrica che guarda ad oriente, una malinconia scolpita nelle rughe del viso, a cui alternano un innato spirito di resilienza, quasi le radici non volessero staccarsi mai del tutto dal suolo, continuando ad alimentare il fusto, i rami e le foglie, resistendo al vento freddo di grecale o a quello soffocante di scirocco che da queste parti sanno essere assai feroci. Ci sono alcune parole chiave utili a leggere non tanto il passato, quanto il presente ed il futuro di questa gente, di questi luoghi dove il bagliore dei calanchi ed il bianco delle nevi d’inverno sanno regalare un candore che sa di accoglienza, di sorrisi accennati, di calda filoxenìa. Le parole chiave sono quelle già menzionate, radici, fusto, rami, foglie e soprattutto resilienza, perché accanto alle cartoline dei paesi che si svuotano, accanto al dramma dell’abbandono dei versanti più interni troviamo per fortuna anche i volti ed i sorrisi di chi resiste regalando speranza.
È per questo che l’estate nella Calabria Greca non
è immobile, è viva e pulsante, e prodiga di regali per chi giunge dallo Ionio
percorrendo quella rete sconnessa di fitti collegamenti a pettine, quei rivoli
di asfalto consumato che dando le spalle al mare si inoltrano verso
l’entroterra, in cerca della storia, nella spasmodica attesa di risentire quei
suoni arcaici che sanno di magna Grecia. Sono fresche le sere sulle alture
d’Aspromonte dove tra spettacoli, iniziative culturali, incontri, dibattiti,
caffè letterari, serate di poesia, appuntamenti enogastronomici si trova anche
il tempo di riflettere, di guardarsi negli occhi ritrovando passioni perdute
sotto i colpi della quotidianità, di guardare anche la luna e le stelle, da
queste parti diremmo meglio “to fengàri ce ta sìdera”,
almeno quelli sono
sempre uguali e sempre più belle, la dove l’assenza di luce consente di
osservarle in tutta la loro lucentezza, ammirando in silenzio dall’alto le
vallate rischiarate a giorno che offrono i contorni netti delle montagne che si
tuffano a mare. È un’estate breve, fresca, veloce ed intensa quella da vivere
nel cuore della Calabria Greca, ultimo lembo peninsulare dell’Appennino. Tra
qualche giorno, inizierà un tour de force fatto di visite guidate, di
passeggiate notturne, di musica tradizionale nelle piazze, nei vicoli, nelle
stradine dei centri storici che si apriranno, ed in parte lo hanno già fatto,
alla curiosità dei turisti, sempre di più provenienti da tutte le parti d’Italia
e da qualche decennio anche dal nord Europa. Per loro e per i tanti partiti con
lutto nel cuore, che attendono di riabbracciare la loro terra nella calda
atmosfera di agosto, ci saranno il rosso sangue del vino e quello altrettanto
intenso del cuore che si riaccende.
L’estate nella Calabria greca è il piacere
di ritrovare il gusto della lentezza, quello delle piccole cose dimenticate di
cui rinnamorarsi come la prima volta, come giovani appassionati amanti che si
scaldano con un sorriso. È il dono più bello offerto da questa piccola Italia
su misura, dove una parte di Grecia si fa largo nella mente, negli occhi e nel
cuore di chi passa da queste parti. La musica sta per iniziare, i fuochi si
stanno per accendere, e poco importa se dureranno per il tempo di un battito di
ciglia o poco più, perché certi sapori, certi odori, certe immagini, certe
suggestioni profonde, vanno assaporate tutte d’un fiato per non rischiare di
perderne neanche un goccio, per avere la certezza che, una volta ripartiti
rimangano impresse nel cuore e nella mente.
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