domenica 24 febbraio 2019

LIBERI DI SCEGLIERE, DALLA FICTION ALLA REALTA'


“Liberi di scegliere” è questo il titolo assai più che metaforico della pellicola dedicata all’esperienza che vede protagonista il presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria Roberto Di Bella, impegnato in quella che può senza dubbio definirsi un’operazione di rinascita culturale, dalla quale proprio in questi giorni stando prendendo le mosse tutta una serie di iniziative ad ampio raggio che passando dalle scuole alle carceri ci consegnano la cifra di un cambiamento di rotta in atto ormai da tempo. 

Il film coprodotto da Rai Fiction e Bibi Film, diretto da Giacomo Campiotti parla del coraggio del presidente del Tribunale per i minori di Reggio, nel film Marco Lo Bianco, interpretato da Alessandro Preziosi, impegnato nella concretizzazione di misure alternative attraverso cui fornire ai ragazzi nati in famiglie di mafia almeno una possibilità di crescita lontano dai cointesti di riferimento, offrendo così loro la possibilità di scegliere consapevolmente il proprio futuro. Ci sono tante lettere sulla scrivania di Roberto Di Bella, ce ne accorgiamo fin da subito, appena entrati nel suo studio dove con garbo ed attenzione ci riceve in un freddo pomeriggio di metà febbraio. Siamo andati a trovarlo per parlare con lui di questa straordinaria esperienza, quella televisiva e naturalmente quella reale. Lo abbiamo raggiunto in quella che ormai da anni è la sua seconda casa, quell’ufficio divenuto nel tempo quasi un luogo di frontiera, crocevia di sorrisi e di lacrime, di abbracci di benvenuto e saluti di addio dal sapore non sempre uguale, frutto di sentimenti contrastanti e spesso contrastati. Ha una faccia da persona buona il dottor Di Bella, schietta, sincera, la faccia di un uomo che lascia trasparire in modo netto il suo approccio alle problematiche della vita, quelle particolari, intime, sofferte, che per essere affrontate richiedono un’attitudine all’empatia, al contatto umano, agli sguardi, ai sorrisi ed alle parole, specie a quelle non dette. Torniamo alle lettere sulla scrivania, perché non sono lettere qualsiasi quelle, sono missive che assumono il valore della testimonianza, fogli che diventano una finestra spalancata su di un mondo parallelo, fatto di sofferenza, di privazioni, di rimpianti e disillusioni. Una di quelle lettere, ripresa poco tempo fa da un noto quotidiano nazionale, è a firma di un tale Giuseppe, un giovane boss della ‘ndrangheta, detenuto da circa dieci anni in regime di 41 bis, su di lui gravano come un macigno una condanna definitiva a diciotto anni per associazione mafiosa ma soprattutto un’altra in primo grado all’ergastolo per omicidio. Giuseppe ha un figlio oggi dodicenne e sono il pensiero di quel bambino, unito allo spauracchio del carcere a vita ha guidare la sua mente e la sua penna.  
 “Scrivo da padre che soffre per il proprio figlio e sono d’accordo con Lei quando dice che solo allontanandolo da questo ambiente potrà forse avere un futuro migliore. Se avessi avuto le stesse possibilità, forse non sarei dove sono adesso”. In queste righe iniziali di una missiva ben più lunga, troviamo l’essenza dell’opera di Roberto Di Bella, il dna di un cambiamento che fino a poco tempo fa sembrava impensabile, improponibile. Agli albori degli anni ottanta la legge Rognoni-La Torre rappresentò lo spartiacque utile ad entrare nel cuore degli istituti di credito siciliani, quelli che le cronache dell’epoca definirono i “santuari” della mafia. Oggi l’impegno ed il senso di responsabilità di Roberto Di Bella uniti ad un coraggio non comune, hanno prodotto un risultato certamente più importante di quello, perché non è azzardato parlare anche in questo caso di santuari. Entrare nel cuore delle famiglie di mafia, significa infatti cercare di scalfire un monolite granitico, uno scrigno in cui vengono custodite le regole che devono essere tramandate in nome ed attraverso un vincolo di sangue inviolabile, indissolubile. 
 Entrare nell’enclave familiare significa cercare di scardinare dal di dentro un’ideologia, un credo, un modo di essere praticato in modo pedissequo, con ostinazione, quasi con religiosa osservanza. Proprio per questo l’azione portata avanti da Di Bella riveste un’enorme valenza sociale che ha dato la stura ad un cambiamento per certi versi dirompente. Abbiamo chiesto al dottor Di Bella, quando e come nasce l’idea di una fiction su questa storia. “L’idea - ci dice - nasce intorno al duemilaquindici da un incontro con la sceneggiatrice Monica Zapelli, la stessa sceneggiatrice de I Cento Passi, pellicola dedicata alla storia di Giuseppe Impastato e di Lea, dedicata alla tragedia di Lea Garofalo. L’idea mi ha coinvolto fin da subito, e dall’inizio ho inteso precisare al regista che la figura del giudice non sarebbe dovuta emergere come quella dell’eroe, piuttosto avrebbe dovuto coniugare l’autorevolezza ad una necessaria empatia verso i ragazzi e verso le madri che come vedremo hanno un ruolo fondamentale in questa vicenda. Quanto il personaggio televisivo si avvicina realmente a Roberto Di Bella ? “Il regista, ma anche chi si è occupato di scrivere la sceneggiatura hanno fatto un lavoro straordinario. Non è facile conciliare i tempi televisivi assai ristretti, con l’esigenza di far comprendere un messaggio così importante e complesso a chi non conosce un contesto particolare come quello delle famiglie di mafia e lo sfondo sociale in cui operano. Il giudice deve essere misurato ed allo stesso tempo depositario di una sofferenza emotiva che viene fuori puntualmente quando si occupa di ragazzi con simili problematiche. La forza che lo spinge ad andare avanti anche di fronte a situazioni che appaiono insormontabili risiede nella speranza del riscatto”. A breve partirà un ciclo di iniziative promosse da Libera e dal Centro sociale Agape che faranno tappa in diversi istituti scolastici e in alcuni istituti penitenziari. Sembra poi che il CSM abbia invocato una legge specifica su questo tema, cosa ci può dire rispetto a questo ?. “Le iniziative che partiranno a breve rivestono una grande valenza, perché rivolgere un messaggio così importante ai ragazzi delle scuole era assolutamente necessario, come lo è indirizzare un’attenzione particolare alle carceri, spesso intesi come luoghi marginali cui non pensare. Ad oggi ci troviamo di fronte ad una situazione di difficile gestione, per uscire dalla quale sarebbe necessario creare delle reti di supporto ai provvedimenti, passando da una seria formazione di professionisti, psicologi, assistenti sociali, educatori, famiglie affidatarie che abbiano una preparazione specifica, ma oltre a questo serve anche e soprattutto un concreto aiuto da parte dello stato, che garantisca ai ragazzi ed alle madri che scelgono di allontanarsi dai propri contesti di appartenenza, la certezza di un inserimento nel mondo del lavoro piuttosto che l’accesso ad un’adeguata istruzione”. A che punto siamo rispetto a questo percorso ? “attualmente molte donne con i propri ragazzi hanno deciso di andare via dalla Calabria, ma purtroppo non esiste ancora una legge che le tuteli adeguatamente. Oggi ci troviamo di fronte ad un evidente vulnus normativo, giusto per intenderci, la mancata tutela nasce dal fatto che un minore o anche la madre, pur dissociandosi dal contesto criminale non possono godere di alcun beneficio non essendo di fatto inseriti nel programma di protezione. Rispetto a questo andrebbe garantita una tutela adeguata all’importanza di una scelta dalla valenza straordinaria che contribuisce a minare dal di dentro la credibilità su cui fino ad oggi la realtà criminale aveva ha fatto leva. Oltre a questo, vorrei porre l’accento su un’altra necessità. A Reggio abbiamo un protocollo giudiziario distrettuale. Sarebbe molto importante che fosse cristallizzato in una norma, perchè prevede dei circuiti comunicativi tra i diversi uffici giudiziari”. Se le chiedessi di fare un bilancio e di indicarmi una sua aspettativa per l’immediato futuro ? “ritengo che un primo bilancio sia assolutamente positivo oggi testimoniato anche dal grande successo del fiction, ma al di la di questo quotidianamente giungono decine di lettere da parte di madri, di ragazzi, ma anche di padri detenuti che mi chiedono di intervenire per dare ai propri figli la speranza di un futuro diverso e se questo sta accadendo vuole dire che qualcosa nelle coscienze si è mosso, si sta modificando. Ricevo poi tantissime richieste da parte di istituti scolastici che vogliono utilizzare la pellicola per scopi didattici, segno che il messaggio è stato colto nella sua essenza toccando le corde emotive della società civile. Trovo sia poi un eccezionale segnale di speranza il fatto che alcuni dei nostri ragazzi attualmente fuori regione, abbiano collaborato alla sceneggiatura del film, dunque il mio auspicio è che tanti altri ragazzi, tante donne, e perché no anche tanti padri oggi detenuti o latitanti possano, guardando quelle immagini immedesimarsi, ritrovarsi e magari individuare la via verso la speranza, la stessa che molti stanno già percorrendo”.         

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