sabato 29 settembre 2018

RIDATECI UNA STRADA DA PERCORRERE, SALVEREMO IL NOSTRO PICCOLO MONDO


 Mi capita spesso, rovistando in soffitta tra vecchie foto e ritagli di giornale, di ritrovarmi tra le mani cose che pensavo smarrite per sempre. Mi è capitato proprio l'altro ieri, quando nel tentativo di mettere ordine tra un groviglio di carte ho ritrovato un vecchio articolo di oltre mezzo secolo fa. 

Il Pezzo a firma Pietro Borrello, è scritto in un italiano affascinante di quelli che oggi ritrovi solo in quei preziosi filmati delle teche RAI ed è estrapolato da una copia datata 1964 del “Gazzettino dello Ionio”, un periodico locale scomparso ormai da tantissimo tempo. L'articolo celebra una data storica per la piccola comunità di Bova (RC) e  nello specifico per la comunità di Brigha, una delle sue più popolose frazioni collinari a forte vocazione agricola. Ma oltre a tutto ciò, quel pezzo evidenzia in modo triste come e quanto a distanza di oltre mezzo secolo i problemi siano rimasti irrisolti, l'isolamento, la carenza di infrastrutture, la difficoltà nei collegamenti, con una viabilità a pettine tra la costa e l'entroterra rimasta per larghi tratti immutata rispetto ad allora. E' facile intuire come l'isolamento infrastrutturale delle nostre aree interne rappresenti, oggi più di allora una questione fondamentale per la vita stessa dei paesi. A conferire connotati di drammaticità al già grave fenomeno della razionalizzazione dei servizi, che si concretizza nella chiusura di una scuola piuttosto che di qualsiasi altro servizio o presidio dello Stato, è proprio l'assenza di collegamenti adeguati, l'assenza o la precarietà di una rete viaria che consenta alla gente di scegliere dove vivere senza per questo essere declassata allo status di cittadini di serie b. Prima di proseguire sarà utile rileggere il pezzo originale, una lettura che contribuisce a ripercorrere una breve ma significativa pagina di storia locale, ma che soprattutto potrà servire a richiamare alla mente le analogie con le cronache di oggi, un copione consolidato, di cui la gente dell'entroterra calabrese continua ad essere involontaria interprete, un quadro desolante che ci parla di una regione immobile, piegata su se stessa, dove problemi mai realmente risolti, si ripropongono in tutta la loro drammaticità ad ogni nuvola, ad ogni scroscio di pioggia:
 Le analogie tra le problematiche di allora e quelle di oggi sono davvero tante, tante quante le differenze tra il sentimento di allora e quello di oggi, il primo segnato dalla speranza nel futuro, materializzatasi nella realizzazione di una strada, ideale ponte verso il progresso, il secondo dallo scoramento che assume i connotati della resa davanti alla cartolina di un entroterra che oggi muore e si desertifica, piegato da una lotta combattuta ad armi sempre più ìmpari. A leggerla così, la questione lascerebbe poco spazio all'ottimismo, ma il calabrese si sa è testardo, ha pazienza ed anche quando lo sconforto sembra avere la meglio, subentra la voglia di resistere, la speranza che prima o poi, forse, la via verso il futuro la si potrà ripercorrere su strade meno accidentate, più veloci e sicure, così allora anche quando le scuole o gli uffici dovessero chiudere, ferma restando la speranza di salvarli, forse faranno meno paura. In fondo a pensarci bene la gente della montagna non chiede poi molto, solo il diritto di poter scegliere di resistere nei luoghi della propria storia senza che qualcuno si arròghi, come accaduto fino ad oggi, il diritto di scelgere per conto altrui.   

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