martedì 21 febbraio 2017

VISIONI MERIDIANE DI UN PICCOLO MONDO CHE CAMBIA



“Pur camminando faticosamente verso Bova, la Città sembrava un vascello fantasma, mai vicina. Ci sono punti di osservazione attorno a questo nido di aquila, da cui guardando si vede la Sicilia che galleggia al limite dell’orizzonte con una grandezza imponente, la dove l’avrebbe messa esattamente un pittore”. I versi di Lear fanno da incipit ad un ricercato affresco che diventa tributo ad un centro, alla sua storia ed alla sua gente e nel contempo occasione di analisi e riflessione sul presente ma soprattutto sul futuro di un angolo di sud che di ammainare bandiera sembra non avere voglia. 

L’affresco/tributo è quello dedicato al borgo di Bova da Camilla Baresani dalle colonne di “Io Donna” inserto rosa del Corriere della sera (http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2016/11/26/bova-la-postina-non-suona-due-volte/). La cartolina traccia i contorni quotidiani di un preciso angolo di Sud e lo fa da una prospettiva assai particolare, raccontandolo attraverso gli occhi di chi lo vive quotidianamente per lavoro anziché da turista piuttosto che da residente. Il titolo scelto, “A Bova la postina non suona due volte” è certo una simpatica parafrasi celebrativa della famosa pellicola dell’81 con Jack Nicholson e Jessica Lange, 


ma è anche è soprattutto il frutto di un lavoro descrittivo che fa seguito ad un faccia a faccia tra la cronista e le due portalettere del paese. Caterina e Stefania negli anni hanno imparato a conoscere dopo le vie, le scorciatoie ed i numeri civici anche la gente e le loro abitudini e per questo sanno cogliere con occhio attento sfumature e dettagli di un mondo dove l’arcaico abbraccia il moderno in una spirale di cui non riesci mai rintracciare inizio e fine. Mi sono sempre chiesto cosa percepisca il visitatore, ho sempre cercato di immaginare che gusto abbia quella percezione particolare, rapida, a pelle e quel gusto l’ho ritrovato solo viaggiando, perché in casa propria l’autoanalisi è sempre pratica ardua, falsata com’è da sentimenti e legami affettivi con persone e con luoghi che rappresentano idealmente quel filo mai spezzato col nostro vissuto. Ho osservato più volte ed in modo attento la cartolina offerta dalla Baresani per non farmi sopraffare dalle logiche del campanile e riflettendo ho capito che non c’è preconcetto nelle parole della cronista come nelle sensazioni di Caterina e Stefania. Certo il ventre suggerirebbe l’aggiunta di qualche ingrediente da affiancare a quel pezzo da museo così ben descritto, con i suoi quadretti, le foto dei Papi e quelle dei cari defunti, o i fichi e le passate di pomodoro piuttosto che il basilico ed i peperoncini in bella mostra nei cortili delle case”, perché questa parte di meridione è anche l’avvilimento delle badanti che non trovano un corso o una via per lo shopping dove passeggiare diventando col tempo cartina di tornasole dell’angoscia e della rassegnazione di un sud che corre verso una meta indefinita, ma è certamente anche tanto altro, perché guardando l’altra faccia della medaglia ti accorgi che certi luoghi sono diventati, pur come realtà di nicchia anche simbolo di un’inversione di tendenza in atto da tempo, un percorso che oggi fa riscoprire alle giovani coppie la bellezza di non dover andare via per forza. Potremmo dire questo e molto altro ma per onestà intellettuale voglio dare ragione alla Baresani quando dice che a sentire presentata in certi termini la storia delle badanti, avverti una sensazione di tristezza, così come ha ragione anche quando sottolinea che l’atmosfera che respiri in paese è tutt’altro che dimessa consegnandoci così un parallelismo con i luoghi terremotati dell’Umbria e delle Marche, ha ragione è come, non fosse altro perché l’assonanza che percepisco assai nitida in questa analogia non è certo con le macerie e con la solitudine, ma con l'attaccamento l’ostinazione di quella gente che non vuole lasciare case, cose ed affetti. Ecco perché la mia personale chiave di lettura del pezzo è assai positiva, perché in esso mi piace rintracciare un autentico messaggio di speranza, chiaro proprio nel suo finale, quello che va oltre la semplice poesia regalata dai fermo immagine del borgo, con quel neretto volutamente evidenziato che ci sottolinea l’importanza di “Un’Italia da perseverare e soprattutto da riscoprire”.

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