lunedì 20 febbraio 2017

IL FASCINO DEI NON LUOGHI E IL POTERE DEL VIAGGIO NECESSARIO



Ci sono scritti che non vanno pensati, che nascono in modo semplice, diretto, solo dalla necessità di fermare un'impressione del momento, un sentimento, uno stato d'animo, umodo particolare di leggere gli eventi. Mi è accaduto diversi mesi addietro in una mattina d'estate come tante. Colazione, giornale e Ipad, c'è qualche pezzo da preparare e qualche comunicato da inviare, poi invece arriva la telefonata che non ti aspetti e la giornata di colpo cambia,così i soliti gesti ed i soliti luoghi lasciano il posto al loro esatto contrario.
Nel prosieguo di quella giornata seduto in uno dei tanti gate di Fiumicino in attesa di prendere un volo per Bergamo riflettevo su alcune letture di qualche anno fa. Ho pensato che le sale d'attesa degli aeroporti, delle stazioni, del metrò sono luoghi assai particolari che ci richiedono una riflessione concedendoci in cambio una prospettiva particolare da cui osservare il dinamismo del mondo nella sua circolarità. Ci sono luoghi che neanche percepiamo, crocevia di sguardi anonimi, di sorrisi cortesi, di volti che quasi sicuramente non rivedremo mai più. Nel riflettere su questi concetti, nel guardare quegli sguardi che si incrociavano e soprattutto ancor prima nel ripensare alle letture di cui vi dicevo, mi è tornato in mente Marc Augè. Sono passati più di vent'anni da quando conobbi per la prima volta il termine non luogo. Ricordo che degli scritti di Augè, prima dalla sua lucida analisi mi colpì quella straordinaria intuizione nel coniare un neologismo che riassumeva in modo quasi profetico una veloce metamorfosi della società letta nei suoi gangli. Augè definisce i non luoghi come strutture necessarie alla circolazione accelerata delle persone e lo fa riferendosi ai grandi centri commerciali ed a tutti gli spazi in cui milioni di persone si incrociano senza entrare mai in relazione, spinti solo dal desiderio frenetico di consumare, di accelerare le operazioni quotidiane o considerati come porta di accesso ad un cambiamento reale o simbolico. Poi però, ed arrivo alla parte che più mi interessa, Augè fa anche un'altra cosa, questi suoi non luoghi li contrappone a quelli che chiama i luoghi antropologici, quelli che possiedono tre principali caratteristiche, quelli che per lui sono identitari, relazionali e storici, con quel bagaglio di vissuto che regalano a chiunque si mostri disposto a meritarlo abitandoli e vivendoli dal di dentro. Pensavo a questo seduto tra tutta quella gente, pensavo alla Calabria, ai non luoghi ed alla necessità del viaggio, perché col tempo ho imparato come per leggere i luoghi, le persone e gli eventi sia necessario osservarli da altre prospettive, come dal finestrino di un aereo ad esempio, da dove piano piano diventa tutto più piccolo, da quel posto guardi le case e le cose che pian piano si allontanano quasi a volerti dire che non ti appartengono più. In quella sala d'attesa, in un lasso di tempo che non saprei neanche più quantificare ho percepito in modo chiaro, più di tante altre volte il retrogusto di società a più velocità ed ho avvertito uno strano senso di libertà che mi suggeriva anche solo l'illusione di una possibilità, vivere quella società alla velocità che più mi piace, accelerando o rallentando quando me ne viene voglia, libero dagli schemi della quotidianità. In quel momento ho sentito tutto estremamente vicino ed a portata di mano più di quanto non lo fosse in realtà. È la poesia del viaggio, il poter dell'altrove ovunque esso sia, purché lontano dai riferimenti di sempre, quella poesia che piano piano rallenta la sua corsa fino a concederti un ritorno al presente che sa di brusco risveglio. Ho ripensato più volte a quella sensazione e mi sono chiesto quanto sarei veramente pronto a rinunciare ai soliti gesti, ai soliti luoghi, alle abitudini ed ai riferimenti di una vita, pensandoci bene credo sia possibile, sicuramente oggi più di ieri.









































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