Le ginestre erano ancora di un
giallo vivissimo, le pareti delle montagne ancora verdi, le mucche e le
capre, quelle manco a dirlo, ti davano il benvenuto, più del cartello di
ingresso al paese, arrugginito ai bordi e piegato dal tempo.
Ero di casa a Roccaforte, a volte ci
andavo direttamente attraversando le pinete dei Campi di Bova, quasi a
non voler dare confidenza alla marina, quasi a voler rimarcare che quei
percorsi erano roba nostra, questioni strettamente montane che non tutti
possono capire. Altre volte invece, attirato dall’azzurro del mare
nelle giornate più belle, seguivo un estenuante tragitto ad anello,
scendendo in marina e poi risalendo, ora da monte Scafi ora da Melito
Porto Salvo.
Correva l’anno duemilasette ed era una fresca mattina del mese di giugno, quando, come accadeva spesso, andai a trovare l’allora primo cittadino di Roccaforte, Ercole Nucera, alla ricerca di notizie utili da pubblicare. Quella mattina, Ercole mi accolse gioviale come sempre, anche se, dopo il consueto caffè, al bar da Nunziato e prima di mettere mano ai fatti da analizzare, capii che la mattinata sarebbe stata lunga. «Vorrei proprio che il presidente della Regione Calabria mi spiegasse il motivo per cui il nostro comune è stato tenuto fuori da tutti i benefici derivanti dalla diga sul Menta, dimenticando, non si capisce come, che l’opera in questione ricade proprio sul territorio comunale di Roccaforte».
L’argomento della giornata era
abbastanza chiaro, la diga sul Menta era una annosa questione che in
quell’inizio di estate, si riproponeva puntuale, accentuata da una
penuria d’acqua che preannunciava una stagione poco felice. Non aggiunsi
altro se non un laconico «Ditemi tutto sindaco, cos’è successo?»
«Niente di nuovo Gianfranco, solite questioni, ora vi faccio leggere la
lettera che ho scritto al Presidente della giunta regionale, perché la
situazione è insopportabile e abbiamo di fronte un’estate torrida. Non è
tollerabile che venga colonizzato un territorio da sempre penalizzato,
emarginato e dimenticato dalle istituzioni, quasi fossimo appestati. Non
si sa per quale motivo non è ancora iniziata la messa in posa delle
condotte della galleria della diga, non sono stati appaltati i lotti per
i lavori che dovranno portare l’acqua potabile a Reggio e negli altri
comuni interessati, mentre il Comune di Reggio spende ingenti risorse
economiche per l’approvvigionamento idrico. E ancora, perché, nonostante
la diga ricada sul nostro territorio comunale non si sia mai neanche
ipotizzata l’idea di collegare in modo decente il paese all’invaso,
dunque né acqua né strada. Migliorare il collegamento tra Roccaforte, la
diga e Gambarie d’Aspromonte è una priorità, se si vuole veramente
garantire a questo centro un futuro in chiave turistica. Il nostro
comune ha bisogno della partecipazione di tutte le istituzioni per
uscire da una situazione di abbandono in cui versa da anni. Una delle
priorità, al momento è determinata dall’apertura di un tavolo di
discussione con la Regione Calabria e con la Sorical per avviare un
nuovo accordo di programma quadro».
Stetti a guardare il sindaco senza
aggiungere una parola, dopo un discorso veloce ma incisivo che metteva
ancora una volta il dito nella piaga e soprattutto nelle pieghe di quei
mali comuni a molti centri interni della provincia. Il giorno dopo uscii
con un pezzo di spalla su un quotidiano locale, accanto alla foto del sindaco c’era ovviamente quella della diga. Quel foglio in bianco e nero
voleva essere, più che una lettera al Governatore, la fotografia di una
situazione di forte marginalità, non solo geografica, ma anche e
soprattutto umana e culturale.
A distanza di qualche anno, le cose
andarono diversamente rispetto a come auspicato dal sindaco. Da allora
abbiamo riparlato più volte con Ercole di quelle e di tante altre
vicende, proprio come qualche giorno fa, a Reggio, in via Pio XI, dove
lo incrocio per caso. Prediamo un caffè come sempre, non è quello che
prendevamo da Nunziato, ma i discorsi, anche in un affollato e più
anonimo bar del centro cittadino, suonano sempre uguali. Ercole non è
più sindaco da un pezzo e a Roccaforte le prospettive sono cambiate rapidamente, le problematiche oggi sono il rischio abbandono, la resa, la
rassegnazione della gente.
E la diga rimane là, tra paesaggi
quasi alpestri, immobile da anni, ad alimentare le piene dell’Amendolea,
scenario buono per servizi fotografici e punto di sosta obbligato per
cercatori di funghi e per quanti, nella stagione calda cercano
refrigerio tra i boschi. Le questioni irrisolte rimangono tante, quanti
sono i chilometri che separano Roccaforte dell’invaso, lungo un percorso
accidentato che si inerpica ora ripido ora più dolce, passando a
cavallo della frana Colella tra paesaggi lunari, resi ancora più irreali
dal fuoco impietoso di qualche anno fa.
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