domenica 15 novembre 2020

E RIPRENDIAMO A CORRERE, SENZA SAPERE DOVE ANDARE

 

Abbiamo messo in fila gli anni, come quei soldatini di piombo con cui si giocava da bambini, quelli che poi riponevamo nella cassetta di latta dei biscotti da thè. Provo una sensazione di grande disagio nel guardare il tempo che corre accorgendomi di come più passi e meno riesca a stargli dietro. Guardo con uguale spirito il paese, fermo, immobile, sempre uguale, lo osservo da diverse prospettive, e come per il tempo, mi accorgo che qualcosa mi sfugge e quello che pensavo fosse mio, spesso sembra non appartenermi più. Mi ritrovo sempre più a fatica nei luoghi che mi hanno visto crescere, forse perché spesso più che nei luoghi ci si identifica senza rendersene conto nelle persone. Pensavo a quanto sia la presenza umana a connotare, a dare un verso, una direzione precisa ai luoghi. Ecco probabilmente sarà questo a creare quel vulnus doloroso che non riesco a riempire e che si espande sempre di più, questa assenza di volti ed espressioni amiche che nel tempo si fanno simbolo di condivisione di uno spazio collettivo attraverso un necessario richiamo al passato, una sorta di cordone ombelicale che una volta reciso non riesci più a ritrovare. Pian piano i volti di sempre scompaiono, senza venire sostituiti ed è questo il vero dramma di certi paesi, la mancanza di prospettiva, l’assenza di un filo di congiunzione tra passato e presente. Lo dico assumendomi la mia parte di colpa, siamo stati incapaci di tramandare la memoria di questi luoghi alle generazioni che stanno crescendo e questa incapacità, questa sventatezza nel preservare qualcosa di nostro garantendogli di sopravvivere, è una colpa imperdonabile che ci si deve assumere, ognuno per la parte di propria competenza. Corriamo veloci senza capire bene in quale direzione, convinti di avere tutto a portata di mano, di essere cittadini del mondo, quando in realtà, l’unico mondo che possedevamo, quello piccolo, su misura, fatto di volti e relazioni lo abbiamo svenduto, ce ne siamo disfatti quasi fosse un fardello. I ventenni, ma anche i trentenni oggi non hanno più contezza della nostra storia, della storia di questi luoghi, fatta di aneddoti, di toponimi, di un lessico particolare ormai quasi del tutto scomparso, ma anche di usi, costumi, tradizioni che per secoli si erano tramandati e oggi pare non siano mai esistiti. Avremmo dovute trarre le memorie suggerite da Alvaro ed invece come accaduto per la lingua dei greci di Calabria più di mezzo secolo fa, abbiamo pensato bene di cancellarle, più o meno consapevolmente, ed oggi che ci sentiamo tutti un po più soli, oggi che il senso di comunità va scomparendo sotto i colpi di un’omologazione calcolata, ci interroghiamo in modo postumo, in uno sterile moto di autolesionismo e forse anche in preda ad un certo vittimismo un po retorico. Lasciamo da parte malinconia e calcolo e riprendiamo a correre perché forse l’unico antidoto al dolore rimane la possibilità di correre senza voltarsi indietro e senza farsi domande...

5 commenti:

  1. Bello.Molto bello perché privo di sterile retorica.trattandosi di un racconto, farei a meno del pensiero di Alvaro. Bravo.

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  2. Racconto privo di retorica, lontano da lamenti fuori luogo per il tempo che passa e le cose, gli ambienti quasi perduti.'

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  3. Racconto privo di retorica, lontano da lamenti fuori luogo per il tempo che passa e le cose, gli ambienti quasi perduti.' E' diviso in due spezzoni, vi preferisco il primo: idee semplici ma profonde, sensazioni avvolte da un lirismo tenue e mai mieloso. Toglierei di netto la seconda parte. E' conoscenza erudita (importante, naturalmente), ma la narrazione ha bisogno di un suo spazio, di una sua libertà espressiva. Bel racconto, complimenti.
    Un caro saluto. Enzo Stranieri:vincenzostranieri@gmail.com

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  4. In realtà corriamo sempre senza una meta, non ce l'abbiamo anche quando siamo sicuri di averla e di vederla. Questo tuo scritto è sentimento puro, ecco direi che è questa la meta da perseguire, correre verso di esso.
    Per il resto non sono così sfiduciato, è che c'è molto da lavorare, caro Gianfranco, forse sempre più lavoro.
    Grazie molto per questo Tuo Scritto, per il Tuo Tempo e Lavoro, a andiamo avanti.

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  5. Crediamo di avere tutto a portato di mano ma forse qualcosa ci sfugge, sopraffatti forse dal tempo che, inesorabilmente, si fa gioco di noi...

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