venerdì 8 dicembre 2017

VISIONI METROPOLITANE, SALUTANDO L'AUTUNNO


Angolo di Corso Como
    Ore 6:45 di un’anonima domenica milanese d'autunno, è  ancora buio ma la notte insonne è stata davvero un tormento. La conosco molto bene la notte, il suo colore, i suoi silenzi che sembrano parlarti col ticchettio delle lancette che si muovono lente facendoti agognare la luce del giorno. 


È strana la notte, è come la vita a volte ti ci aggrappi in modo tenace, altre vorresti che corresse via veloce. Col tempo ho imparato come non cammini mai da sola la notte, portando con se un bagaglio di angoscia e frenesia che dopo un po’ cede la strada alla speranza di vedere l’alba, proprio quella che mi ha fatto saltare giù dal letto quando invece la temperatura ed il grigiore generale avrebbero consigliato l’esatto contrario. Osservo dalla finestra, avvolto nel buio e nella foschia l’enorme condominio di fronte, circa un centinaio di appartamenti dove, nonostante l’ora si agitano già tante vite, tante ombre travisate dalle tende, volti anonimi che pian piano non senza difficoltà cerco di collocare nel tempo e nello spazio cercando di sottrarmi all'opprimente senso di claustrofobia che mi assilla, allora vesto la tuta, il cappellino di lana, il giubbotto e scendo giù al bar a prendere un caffè. Come ogni mattina ad attendermi c’è Giuseppe, non so come faccia di cognome, ma Giuseppe è uno dei tanti personaggi che popolano il sottobosco milanese, uno dei tanti volti anonimi che di colpo iniziano a diventare familiari. Lui è un milanese di origini calabresi, uno dei tanti figli di emigranti, i suoi sono di Laureana di Borrello. Ci ho fatto subito amicizia, anche perché una volta sentito il mio accento ha subito tirato fuori una parlata a metà strada tra il milanese ed il dialetto della piana di Gioia Tauro, una cosa abbastanza improbabile anche se, tutto sommato, spesso approfitto della sua bici per muovermi più agevolmente in città. Dopo il caffè, debitamente coperto per sfuggire al gelo del mattino raggiungo il parco, luogo ideale dove camminare, riflettere e osservare, perché se la guardi bene nei particolari, la città ti parla e ti dice tante cose. 
E’ davvero bella Milano addobbata a festa, con le sue luci, i lustrini colorati che coprono, uniformano, rendono tutto ovattato e surreale facendoti allontanare gli occhi e la mente dal grigio del cielo e dei palazzi. È bella Milano e non solo sotto le feste, lo è sempre, sprigiona il fascino quasi magnetico di una metropoli che sembra non avere presente, ti ammalia con le sue ambientazioni retrò e un attimo dopo ti contagia con quella voglia di futuro che si materializza di continuo e che non riesci a scollarti di dosso. Ha un fascino straordinario Milano, dalle pietre di Brera, alle vetrine di via Monte Napoleone, dallo struscio di Corso Como agli happy hour sulle terrazze dei grattaceli e poi ancora le serate di gala alla Scala, i visi sorridenti in bella mostra dietro le vetrate dei ristoranti  chic del centro. Poi guardi bene e ti accorgi che Milano è anche tanto altro, te ne accorgi quando vieni rapito  da un fascino diverso, forte, intenso, démodé ed allo stesso tempo sempre attuale, il fascino delle periferie che restituiscono la cartolina di una Milano anni 80/90. La periferia milanese è quella dei quartieri immersi in una selva di anonimi palazzoni intervallati dai parchi urbani colorati da un  tappeto  giallo di foglie che col passare delle settimane perdono il loro colore acceso. È viva la periferia milanese, è cosmopolita, vorticosa, frizzante e per nulla snob, ribolle di anime e di corpi, di forme e di colori e va attraversata con le cuffie  attaccate all’iPhone  che ti pompa nelle  orecchie "What Happens Tomorrow"dei Duran Duran. È la Milano dei graffiti sui muri a ridosso delle fermate del metrò, o quella della giungla dei bar di quartiere uno di quelli in cui ho conosciuto
Giuseppe, un microcosmo a parte che se lo sai ascoltare ti racconta di un luogo borderline dove l’intimo ed il metropolitano trovano la loro perfetta sintesi come accade in pochi altri luoghi, una sintesi che diventa segno identificativo  di più mondi sovrapposti. Camminare per i quartieri milanesi di primo mattino, lontani dal frastuono del centro offre un'esperienza catartica, aiuta a riflettere ed osservare più di quanto non ci si riesca in altri luoghi, qualcosa che suggerisce come la notte ed il giorno, l’alba ed il tramonto, il caos e la solitudine, il frastuono ed il silenzio  siano in realtà opposti che si reclamano, si cercano senza mai trovarsi, si odiano a distanza amandosi in segreto, si rincorrono senza mai incrociarsi. Ecco cosa mi dice la fredda alba milanese, mi apre una finestra sul mondo, parlandomi  del moto circolare della vita, un moto perpetuo che si rinnova facendoci desiderare sempre tutto ciò di cui avvertiamo la mancanza, salvo poi farcene annoiare un attimo dopo, forse l’unica vera ricetta per sentirsi vivi. 

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