martedì 6 giugno 2017

BOVA 10 OTTOBRE 1986. QUANDO PINO FOTI SCRISSE AL SANTO PADRE


(Il Sindaco Pasquale Foti ed il Vescovo Mons. Ferro in Piazza Roma a Bova)


È uggioso il tempo oggi su in montagna, in questo pomeriggio di inizio giugno che profuma di scirocco e terra bagnata, in una di quelle giornate da dejavù ricorrente. Sono tanti i pensieri che si rincorrono in giornate come questa, apparentemente monotone, silenziose, sempre uguali, dove a scandire il tempo c’è solo il rintocco del campanile della chjiesa, talmente usuale da essere diventato nel tempo un indispensabile complemento d’insieme. Pensavo proprio a quel rintocco oggi pomeriggio mentre risalivo la via Vescovado, pensavo che è sempre lo stesso, quello che sentivo da bambino e che continuo a risentire identico, mentre intorno tutto è cambiato, nei volti, nei modi, nei ritmi e negli affetti.

È curioso come la storia ridisegni avvenimenti, sentimenti e persone, modellandole nell’essenza e a volte cancellandole come non fossero mai esistite. Giunto di fronte alla chiesa del Carmine ho alzato gli occhi osservando l’angolo delle scale, l’ultima rampa prima della cattedrale ed ho pensato che la, una volta c’era il portone del vecchio Episcopio, un’opera simbolicamente preziosa, spazzata via in nome di un progresso che  non poteva e non voleva più attendere, un moto di rinnovamento traumatico e veloce che nel cemento ha trovato il suo strumento, la sua più plastica rappresentazione. 
 Freddo,  liquido, impietoso il cemento nel suo incedere, coprendo secoli di storia e riscrivendo un copione che non sarebbe mai stato più lo stesso. Riflettendo però, a ben guardare i mutamenti della storia, mi accorgo che non sono mai ne casuali ne repentini e di essi, riavvolgendo il nastro si scorgono nitidi i prodromi ed i contorni. Facciamo un passo indietro. Prima che le ruspe facessero scempio, non senza fatica, di quella possente struttura poggiata sulla roccia, Bova è ancora la Chòra, il centro più importante per antonomasia, faro culturale di un’area che non si chiama Bovesìa certo per caso. Nell’immediato entroterra però qualcosa ha iniziato a muoversi ormai da circa un decennio e quella fuga precipitosa degli africoti verso il mare rappresenta quasi un infausto presagio. Cercare le cause della lenta eutanasia della montagna, vorrebbe dire avventurarsi in interminabili dibattiti, ma certamente tra i tanti accadimenti in cui rintracciare le cause, la spoliazione calcolata della curia vescovile merita un capitolo a parte, segnando in modo indelebile un prima e un dopo.  Sono due le date segnate in calce, la prima e forse più importante è il 1973 data dell’unione delle diocesi di Bova e Reggio in “Persona Episcopi”, espressione usata dalla Santa Sede per indicare l’unione di due diocesi sotto un unico ministero episcopale, lasciando però inalterate le strutture fisiche e burocratiche. L’altra data è il 1986. Lo ricordo bene quell’anno, soprattutto per quei ricordi da bambino legati ad una indimenticabile nevicata, una delle più abbondanti che avessi visto fino allora e che ci colse all’uscita dalla rituale messa di mezzanotte in cattedrale. Ma più che per la nevicata il 1986 va certamente ricordato per essere l’anno che segnò l’aggregazione della diocesi di Bova all’Arcidiocesi di Reggio. Il colpo di scure non fu certo repentino, le avvisaglie c’erano ormai da tempo. Certo non tutti erano dello stesso avviso, ma il percorso sembrava cosa ineluttabile in un frangente storico dove la corsa forsennata verso il mare appariva come l’unica e più logica soluzione nella ricerca di un futuro nuovo per il quale quei monti, quelle case e quelle stradine erano palcoscenico ormai troppo stretto e troppo scomodo. L’ora x scatta il 30 settembre 1986 giorno in cui il decreto Instantibus Votis della Congregazione per i Vescovi sancisce la definitiva unificazione delle diocesi di Bova e Reggio. Nonostante fosse nell’aria da tempo, la notizia fa scalpore, getta una pesante ombra sul futuro di un centro che respira in modo sempre più cupo l’aria della smobilitazione. A quel punto, il sindaco Foti, in un estremo ultimo tentativo, scrive al Santo Padre manifestando di suo pugno quella che definisce “l’amarezza e il dolore con cui il popolo ha appreso la notizia”. Nelle parole di Pino Foti e nella risposta della santa sede si legge in modo nitido il sentimento di allora, in quelle righe intrise di tristezza e malcelata rassegnazione ed in quella risposta telegrafica e serafica c’è tutta l’ineluttabilità di un decennio che molto ha sacrificato in termini umani, culturali e storici.

Di seguito riporto il testo integrale della lettera scritta da Pasquale Foti al Santo Padre, seguita dalla risposta del Vaticano a firma del Segretario di Stato, Cardinale Agostino Casaroli. Corrispondenza epistolare tratta dall'archivio perosonale del Prof. Bernardo Chilà e per la quale ringrazio il figlio, l'amico Totò Chilà per anni caporedattore ed autorevole firma de "L'Osservatore Romano".       




Lettera del sindaco di Bova a Papa Giovanni Paolo II

"Beatissimo Padre, mi permetto nella qualità di Sindaco di Bova di esternare alla Sua Paternità l'amarezza ed il dolore con il quale il popolo di questa nobilissima ed antichissima città ha appreso la soppressione della Diocesi di Bova. Intendo, perfettamente come non sia il caso, anche per ovvie ragioni convenevoli, di dar corpo a forme di protesta che, forse non darebbero nemmeno il senso di sgomento che colpisce le anime più che le ragioni di fierezza di questo popolo che, proprio nella Diocesi, vedeva uno dei più fulgidi riferimenti di quella che è stata e rimane una delle storie più ricche di tradizioni, di cultura e di altissima spiritualità. Bova, tra l'altro, si appartiene ad uno dei Comuni di minoranza etnica nei quali la conservazione dei valori culturali e spirituali rappresentava motivo di ulteriore speranza per vedere finalmente riconosciuto, attraverso l'opera delle istituzioni, comprese quelle ecclesiali, l'attualità e la funzione della minoranza e del suo patrimonio nel contesto dello sviluppo complessivo di questo territorio. Consegnando alla Paternità della Santità Vostra questa profonda amarezza e questo stringente dolore del mio popolo e della popolazione della Diocesi , che è ovviamente anche testimonianza di fede e di vincoli non disgiungibili con la Cattedra di Pietro, mi permetto rivolgere umilissima preghiera perché nel contesto dell'articolazione delle nuove strutture diocesane, Bova, Diocesi esistente già nel V secolo, abbia, almeno un Vescovo ausiliario che conservi al popolo l'immagine di una Chiesa vicina e contigua ai problemi della sofferenza, dell'emarginazione, della solitudine e premi questo tenace legame con la tradizione cattolica della quale Bova si fece portavoce ed eco nella storia della fase greco antica e di cui conserva intatto il patrimonio culturale, morale ed artistico. Sicuro della Paterna considerazione della Santità Vostra nel prendere a cuore questa estrema istanza e preghiera che io rivolgo a nome di un popolo intero, prostro al bacio del S. Anello con profonda speranza e fiducia".

Dalla Residenza Municipale, li 10. 10. 1986

Il Sindaco Dott. Pasquale Foti 

(Giovanni paolo II con il Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli)



Risposta del cardinale Casaroli

"E' pervenuta la lettera che Ella ha indirizzato al Santo Padre in data 16 ottobre scorso, in merito alla piena unificazione della Diocesi di Bova all'Arcidiocesi di Reggio Calabria, stabilita nel recente documento della Congregazione per i Vescovi circa la denominazione e la sede delle Diocesi in Italia. Confido che una più completa informazione, che nel frattempo Le sarà stato possibile di ottenere circa la natura e le conseguenze del provvedimento abbiano consentito a Lei e alla popolazione di Bova di superare le prime reazioni negative. Come noto, la decisione della S. Sede è stata dettata unicamente da criteri ecclesiali. Ritengo comunque di far cosa non sgradita unendo copia dell'inserto dell'Osservatore Romano in data 9 ottobre 1986, che contiene elementi utili per una più adeguata e serena valutazione. Profitto dell'occasione per inviare a Lei, Signor Sindaco, ed ai membri del suo Consiglio Comunale un deferente saluto e l'espressione della mia sincera stima". Cardinale A. Casarol, Città del Vaticano 17.10.1986




Rileggo questa corrispondenza ed in quelle lettere ingiallite rintraccio sentimenti, ansie e paure che pensavo cancellate e che invece tornano alla mente lucide, puntuali, graffianti ed opprimenti come e più di allora, più di quando con animo da bambino non riuscivo a coglierne gli aspetti profondi. Oggi le rivedo assai più nitide quelle sfumature che avrebbero ridisegnato il futuro cancellando molto di un glorioso passato. La rivedo la faccia di Pino Foti, oggi come allora, passionale, con quelle espressioni figlie di un animo illuminato. Conoscevo bene le sue mimiche facciali, i suoi sorrisi e le sue smorfie di disappunto, quelle che hanno segnato i periodi bui, scolpiti ancora nella mente e nelle coscienze di tanti, sfumati invece troppo in fretta negli occhi di tutti quelli che hanno dimenticato la propria personale storia.


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