domenica 5 febbraio 2023

ASPROMONT HORIZON. A NARDELLO, DAL SOGNO AMERICANO ALLO SPAURACCHIO DEL DISASTRO AMBIENTALE

 

Dopo una prima parte di inverno in sordina, gelo e neve sembrano volersi fare strada e l’Aspromonte si colora di bianco a quote via via più basse. D’altronde il bianco da queste parti rimane colore dominante in ossequio ad una radice linguistica greca dove “asper” non vuole essere abbreviazione di asperrimo, quanto invece eloquente riferimento cromatico, fu infatti proprio il bianco dei calanchi e quello delle nevi nell’immediato entroterra il colore che accolse i primi greci sulle nostre coste e fu perciò proprio da quel primo sguardo, da quel colpo di fulmine che prese origine l’appellativo che oggi in tanti erroneamente accostano alla natura impervia dei luoghi. È strana la neve, fenomeno meteorologico accompagnato sempre da una dicotomia, tormento per i pastori di alvariana memoria, assai meno per quelli 2.0, occasione di gioia per i bambini e di comprensibile sollievo per gli operatori turistici. Ma se vogliamo la neve ha anche un’altra sua valenza che in questa fase storica dove il concetto di educazione al bello è spesso abusato, assume un valore pratico a cui si aggiunge un retrogusto poetico. È quasi come se la neve conservasse nella forma dei suoi cristalli, una cifra stilistica spesso sconosciuta all’uomo. Copre, uniforma, rende tutto uguale la neve, cancellando le storture prodotte dall’uomo, e di storture ne ha viste nel tempo questa montagna, violentata nello spirito e nella forma, nell’immagine e nei contenuti. Le ferite sono in superficie e ben visibili, non si fatica infatti a trovare in un contesto di rara e ancora selvaggia bellezza, elementi che parlano di degrado, di abbandono, di incuria, cattedrali nel deserto che rimangono a perenne testimonianza di scelte scellerate, di miraggi mai realizzati, di improbabili intuizioni naufragate prima ancora di prendere il largo. Dalla ghost town di Cardeto Sud, apoteosi di speculazione edilizia nata verso la metà degli anni settanta, ai ruderi di Piani Moleti in territorio di Ciminà. Dall’ex base NAPS dei Piani di Stoccato in territorio di Oppido Mamertina poco più su della frazione di Piminoro (nata per ospitare i nuclei speciali antisequestri), alla struttura sportiva di Canolo nuova, sui pianori di Zomaro, concepita negli anni ottanta con la velleità di ospitare la preparazione atletica di squadre di calcio professionistiche, mai entrata in funzione e divenuta nel tempo luogo di pascolo per mandrie più o meno sacre. È lungo l’elenco di incompiute, lunga la classifica di ecomostri rimasti a deturpare, a segnare in calce un’epoca che piaccia o meno, va accettata e riconosciuta, d’altra parte lo sappiamo bene come utopia e poesia spesso debbano cedere il passo ad una realtà che quasi mai è come vorremmo. Qualche mese fa, prima che l’inverno si decidesse a fare sul serio, ho rivisitato un luogo, che al pari di quelli prima indicati, testimonia di una incuria e un degrado che reclamano giustizia. 


Questa storia, fa riferimento ad un punto geografico preciso dove si cristallizza un’epoca, una fase storica a molti sconosciuta e assai particolare, durante la quale l’Aspromonte diventa crocevia di rotte internazionali. Il luogo di cui parliamo è monte Nardello. Siamo a circa 1750 metri di quota in territorio del comune di Roccaforte del Greco. Risalendo il crinale di qualche centinaio di metri, siamo a ridosso del Montalto, da dove lo sguardo abbraccia idealmente lo Ionio e il Tirreno, facendo cogliere in tutta la sua maestosità la misura di una collocazione geografica strategica. Per capire cosa succede a Nardello, facciamo un passo indietro, al 1965. In quell’anno sull’Aspromonte succede qualcosa che, fino a qualche anno prima, in una montagna ancora quasi completamente in bianco e nero sembrava impensabile, su quei monti arrivano gli americani. Il progetto, mai del tutto realizzato, si chiama Aspromont Horizon, è questo il nome dello studio che fin dalla fine degli anni 50 venne elaborato dagli Stati Uniti, pensando proprio all’Aspromonte, ma anche alla Sicilia con le basi di Catania e Trapani, come crocevia strategico in tema di raccolta ed elaborazione di dati sensibili.
Dall’altra parte del mondo siamo in piena guerra fredda ed in ballo c’è il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. In questo contesto geopolitico prende vita la storia di Nardello, divenuto nell’immaginario collettivo di quegli anni, luogo quasi mistico su cui aleggiavano una lunga serie di storie più o meno fantasiose che andavano dagli esperimenti con gli ufo, all’utilizzazione di missili, insomma una sorta di area 51 in salsa calabrese. Dopo circa vent’anni di attività, si arriva al 1985, quando l’utilizzo sempre più massiccio dei satelliti determina ufficialmente la fine dell’operatività della base. Abbandonata sul finire degli anni ottanta, nel 1993 viene ufficialmente dismessa e trasferita al Ministero della Difesa italiano, cadendo in totale stato di abbandono. Nei decenni successivi si è assistito ad un saccheggio selvaggio di tutto ciò che poteva essere sottratto, in sfregio a qualsiasi riguardo, a conferma di come nel sentire comune, la res publica si trasformi spesso e facilmente in res nullius. Oggi i luoghi dell’ex base USAF, un’area di circa tre chilometri e mezzo di diametro, in un contesto lunare, disegnato da centinaia di alberi abbattuti dagli incendi degli ultimi anni, si presenta come una distesa desolata dove a preoccupare, più degli alberi abbattuti, sono i residui di amianto che suggeriscono lo spauracchio del disastro ambientale. Da anni le associazioni ambientaliste segnalano il pericolo, ma Nardello, nell’indifferenza generale continua a rimanere là, silenzioso testimone di un sogno americano che ha ceduto il passo ad un neorealismo postmoderno calabrese.

 



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