Filoxenìa è il titolo di un lavoro di ricerca documentale e fotografica sulla Calabria greca curato da Patrizia Giancotti. Antropologa, fotografa, giornalista, autrice e conduttrice radiofonica, che ultimamente ho riscoperto con maggiore attenzione cogliendone aspetti nuovi. Una rilettura attenta, meno veloce, più consapevole mi ha consentito di riprendere i temi principali di un lavoro che l’ha vista impegnata ad approfondire la conoscenza dei nostri luoghi, di cose e persone da leggere nel profondo. Filoxenìa, suona bene questo termine greco, con quella sua inflessione morbida e accomodante che vuole significare amore per il forestiero, senso vivo di accoglienza. Sono stati mesi intensi i suoi, vissuti tra Bova e Roccaforte del Greco, passando per Gallicianò e Roghudi nel cuore della grecità calabrese, un tempo valso a partorire un'opera preziosa, ben al di là della già importante cifra stilistica, non fosse altro che per il merito di aver cristallizzato quanto ancora rimane di un piccolo mondo antico offrendo al lettore una chiave interpretativa antropologica e prima ancora umana di una realtà apparentemente semplice ed invece assai complessa, difficilissima da decodificare. Il titolo completo di questo lavoro edito da Rubbettino è: "Filoxenia, l'accoglienza tra i Greci di Calabria", una ricerca che prende in esame aspetti geografici e culturali attraverso l’analisi di singoli profili, come nel caso di Pasquale, uno dei personaggi certamente più interessanti su cui la Giancotti ha posto la sua lente. Pasquale Romeo è un ragazzo di Bova con alle spalle anche una breve ed estemporanea esperienza cinematografica. È importante l’analisi della figura di Pasquale perché incarna l’evoluzione di una terra dove vecchio e nuovo, tradizione e modernità sembrano convivere, dove uomo e natura si amano e si odiano in un continuum scandito dall’alternarsi delle stagioni. Patrizia Giancotti lo descrive così. "La Calabria Greca - dice - è terra di uomini ospitali, nella pienezza del senso omerico. Per mesi ho percorso quei territori, impegnata in una ricerca sul campo dove ho visto medici, professori, fabbri, massaie, suonatori di lira, zampogna e organetto, pastori. Pasquale ad esempio è un giovane di Bova poco più che trentenne, che dopo un'esperienza come attore nel Film Anime Nere di Francesco Munzi, girato proprio tra Bova ed Africo, è tornato alla sua quotidianità. Il suo stazzo è molto in alto, in verticale lo strapiombo diventa precipizio fiorito che porta al fiume, la vista da capogiro arriva fino al mare. Non c'è niente in piano, è difficile persino camminare eppure lo vedo come da un aereo in volo, correre giù dietro le capre col bastone dei padri e i piedi alati. Al red carpet calpestato a Venezia ha continuato a preferire la verticalità di questi scoscendimenti, dove il suono delle capre si fonde con quello della natura risvegliata e dove anche il profumo del vento, il fiume, il lupo, la pietra, il fiore, l'uomo e il mare laggiù sono uniti nella stessa partitura".
È una terra bella, affascinante, a tratti misteriosa e ancora arcaica quella dei Greci di Calabria, un caleidoscopio in cui rintracci tante cose, montagne che si tuffano a mare, il grigio quarzo delle pietre che lascia spazio al rosso dei tramonti, ma soprattutto quell'antico idioma unico al mondo, primo riferimento ad una cultura che si perde nei secoli. Il continuo richiamo all’elemento greco lo si ritrova anche nella musica, nelle occasioni corali come i lutti o le feste, nel senso di ospitalità ancora vivo. Mi ha molto colpito il viaggio di Patrizia Giancotti, forse per la necessità di leggere la mia terra da una prospettiva differente, perché spesso per leggere i luoghi, le persone e gli eventi a te più vicini è necessario osservarli da altre prospettive, per questo ho sempre creduto nel valore del viaggio che ti libera da vincoli e legami che offuscano una capacità di lettura imparziale. Filoxenìa regala al forestiero uno spaccato fedele di una realtà che ancora resiste. Regala allo stesso tempo anche ai Greci di Calabria un’occasione di guardarsi allo specchio, una visione altra ed imparziale. È ricco di una straordinaria carica emozionale Filoxenìa che fa cogliere il suo senso più vero forse proprio in quella dicotomia regalata dalla descrizione di Pasquale, dei suoi piedi alati, del bastone dei padri e di quel tappeto rosso che nulla ha potuto dinnanzi al richiamo della terra madre. Certo nella scelta più o meno consapevole di Pasquale gioca un ruolo fondamentale la presenza permeante di un corredo genetico ben preciso che spinge al di là del calcolo, della logica, al di là del richiamo di sirene più o meno lontane. In quella scelta, non sappiamo quanto consapevole, ci piace leggere la metafora di un piccolo mondo antico che rimane aggrappato alle rocce della sua montagna, guardando con rispetto ma sempre con bonario distacco un mare oggi forse solo idealmente più vicino.