Ci sono luoghi attraversati da una
straordinaria lentezza, la stessa che serve per capirli fino in fondo. L’altro
giorno mi è capitata per le mani una vecchia guida turistica stampata dalla Comunità
Montana Versante Ionico Meridionale negli anni 80, molti la ricorderanno, si
chiamava “I Luoghi della Ginestra”, si presentava in un pratico formato ricco
di contenuti, foto e notizie utili.
L’ho riguardata con attenzione e nel
riguardarla mi hanno colpito alcuni dati ed alcune foto. Poi mi sono detto che
in fondo non c’era nulla di così eccezionale, nulla di cui meravigliarsi era
solo l’effetto del tempo che passa e che rende normale trovare in quelle foto
tante facce che oggi non ci sono più o rintracciare nelle statistiche
demografiche un’accelerazione inarrestabile verso il basso. La direzione nord -
sud in questo caso è similitudine assai appropriata, intanto per quella
assonanza con la tendenza al calo della popolazione e poi perché quelle fughe più
o meno precipitose hanno visto la gente della montagna ruzzolare veloce verso
quella che allora sembrava la panacea di ogni male, quello che oggi mi piace semplicemente
definire il miraggio delle marine. Verrebbe da dire che forse è legato tutto
alla sorte, tanto la sorte si sa è la spiegazione utile ogni qualvolta ci si
stanca nel trovarne una più convincente, potremmo però anche dire e forse questo
è più corretto, che i fenomeni storici non vanno mai stigmatizzati a distanza
di decenni, vanno piuttosto contestualizzati per capirne i prodromi e la lenta
evoluzione. Considerazioni a parte, la condizione del nostro entroterra oggi
non è più da svelare, è sotto gli occhi di tutti, di quelli che si sono ormai
assuefatti e di tutti gli altri, parlo dei i più giovani quelli nati nella
seconda metà degli anni ottanta che del nostro entroterra non conoscono altre
facce se non questa. Ci sono centri ormai disabitati da più di trent’anni, ve
ne sono altri il cui processo di spoliazione umana è stato più lento e graduale,
un processo che ha modificato la sostanza dei luoghi, trasmutandoli da centri
vitali in meta per le gite di appassionati, cultori della storia e della natura
o semplici nostalgici di un passato che oggi cerchiamo con sempre maggiore
insistenza, una pratica quest’ultima che mi fa venire in mente da un lato “Il
Senso dei Luoghi” di Vito Teti, dall’altro la teoria dei “Non luoghi” di Marc
Augè . Proprio su queste due opposte analisi e sull’ultimo aspetto esaminato ho
riflettuto stamane affacciandomi al balcone di casa in una fresca mattina di
fine ottobre. Guardando ad est il panorama che vedo ormai da una vita è quello
divenuto nel tempo assai familiare, la sagoma di monte Cerasìa e a fianco
quella del monte che sovrasta l’abitato di Pietrapennata, per intenderci la
parte montana di Palizzi. È un po che non vado a Pietrapennata, una volta ci
andavo spesso perché più di tanti altri luoghi quello mi ha sempre affascinato
in modo particolare, non so spiegare bene il perché. Per spiegare quel posto
molti usano richiamare gli scritti ed i disegni di Edward Lear, altri suggeriscono
storie di un passato lontano, più o meno credibili, altri ancora si limitano a
scattare qualche foto suggestiva da consegnare ai social con gli opportuni commenti
a corredo. In molti colgo la mia stessa attrazione ed allora mi ripeto che su
quello spartiacque naturale, tra quei ruderi, tra quegli alberi secolari, tra
quei panorami splendidi che ti proiettano in un’altra dimensione, tra quelle
case dove ancora trovi qualche anziano pronto a darti retta con garbo ed
accoglienza, c’è un fascino intrinseco che non è una tua semplice illusione, è
qualcosa di più reale e concreto, è qualcosa avvertita da tanti, ecco appunto,
da tanti non da tutti perché per un certo fascino, per certe sensazioni, per
certi stati d’animo non bastano quei panorami, quei vicoli, quella natura e
quei paesaggi, serve necessariamente uno spirito capace di rintracciare in
tutte quelle componenti qualcosa di magico, servono occhi, cuore e sensi
predisposti a leggere sfumature che non tutti colgono. Negli anni ho capito quanto
sia sottile la linea che divide le differenti interpretazioni su i luoghi, le
persone e gli accadimenti della vita. Ho
imparato che i luoghi anche quelli abbandonati sanno parlare al pari di quelli
assai affollati, ma il messaggio che arriva non è uguale per tutti e forse la
bellezza sta proprio in questo, nel fatto che quei luoghi diventino un libro
che ognuno potrà leggere secondo il proprio bagaglio di esperienze, secondo le
proprie attitudini, secondo la propria sensibilità, perché se lasciamo per un
attimo da parte le certezze della storia, quelle certificate su cui di certo
nessuno potrà disquisire, rimane quella parte legata all’immaginazione che è
forse la più affascinante, un aspetto che in luoghi come Pietrapennata avverti fin
da subito già dopo quell’ultimo tornante superato il quale ti si para di fronte
quel grappolo di case addossate alla roccia. Arrivi, parcheggi e quel silenzio
inizia a parlarti di tante cose che solo tu puoi capire, quel luogo ha una
grande pazienza, una straordinaria lentezza e un grande bagaglio, tanto grande
da riuscire a tirare fuori una storia mai uguale, una storia diversa per ogni
interlocutore, ecco tu parcheggi, inizi a camminare nel silenzio e d’un tratto quel
luogo sceglie la storia giusta per te, è semplice, è questione di empatia, di
vibrazioni, di pazienza e di voglia di ascoltare. La bellezza nel riprendere la
via della marina sta nel lasciarti alle spalle quei luoghi con la certezza che
rimarranno la ad aspettarti immutati, in quel momento senti che il viaggio è
valso a qualcosa, senti che ci sono luoghi che nella loro semplicità custodiscono
storie continuamente differenti pronte ad essere regalate a chi avrà la
pazienza ed il gusto di apprezzarle.
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