Ci sono amori destinati a durare in
eterno, altri che col tempo si affievoliscono diventando abitudine, altri
che invece svaniscono senza lasciare traccia.
Penso spesso alle variabili
del cuore e ci stavo pensando anche oggi sotto questa nebbia fitta, mentre mi
lascio bagnare il viso dalla pioggia battente che profuma di autunno, me lo
dice l’aria sempre più pungente, lo dicono le foglie rossicce che si accumulano
ai bordi della carreggiata, quelle che guardo sempre con sentimenti
contrastanti forse perché mi fanno pensare al corso delle stagioni,
all’incalzare del tempo che non lascia spazio a ripensamenti e correzioni di
traiettoria. Guardavo proprio quelle foglie l’altro giorno mentre passeggiando
lungo la la via che dal paese conduce alla montagna ammiravo gli
stessi panorami che guardo da una vita. Poi di colpo arrivato di fronte al
campo sportivo mi sono fermato ad
osservare quel rettangolo ed in quel preciso momento ho pensato ad uno dei
tanti amori che il tempo ha diradato fino a rendere invisibile, un amore lontano,
nato tanti anni fa e che oggi tutti sembrano avere scordato. Attirato da
quel ricordo mi sono diretto verso la tribuna e una volta salito mi sono fermato ad ammirare
quelle montagne mentre a farmi compagnia c’erano solo lo scampanio dei collari
delle capre sospese giù per i dirupi a sfidare la fisica, e con loro, il rumore
degli alberi mossi da un vento freddo e carico di umidità, un’atmosfera autunnale
che mi ha fatto tornare in mente tante cose. Il primo ricordo parla di caroselli
di clacson, maglie e bandiere fuori dai finestrini, volti sorridenti e tante
curve quelle che facevamo di continuo per scendere e risalire a Bova. Quella
sera al rientro ci attendevano la capra bollita, formaggi, salumi e
naturalmente organetto e tamburello, ma torniamo per un attimo a quel bosco. A
Benestare in quel pomeriggio di aprile dell’87 si scriveva l’ultimo capitolo di
una corsa esaltante che avrebbe sancito per la nostra squadra la
prima storica vittoria di un campionato. La matematica ci
aveva consegnato la vittoria del campionato quindici giorni prima ad Africo, in
quell’occasione l’ostacolo da superare era il Samo e il 2 a 1 finale maturato
in quel pomeriggio di pioggia aveva dato il via alla festa. Che annata quella,
segnata da tre pareggi e poi solo vittorie un record che ricordiamo ancora con orgoglio e
di quei tre pareggi ricordo l’unico in casa proprio col Benestare. Il campo quel
giorno era avvolto proprio come oggi da una nebbia fitta e ricordo bene i volti
increduli di tutti quando al decimo della ripresa eravamo sotto di ben tre gol,
neanche i più ottimisti avrebbero immaginato che al termine della partita ci
saremmo trovati in parità e l’incredulità crebbe quando al ’94 l’arbitro ci diede pure un rigore. Se quel
rasoterra di Peppe Palamara fosse finito dentro anziché sul fondo sarebbe stato
davvero clamoroso. Ripenso a quei pomeriggi di pallone ed a quanto
per noi quello non fosse solo calcio. Di questo ne era proprio convinto Pino
Foti, da quel lontano 1979 data di inizio di un amore lungo ed a tratti travagliato. In quell’anno il sindaco Pasquale Foti, per gli amici, Pino, aveva insistito perché anche noi avessimo una squadra, perché
sarebbe stata occasione di confronto e di ribalta. Ripenso
spesso a quelle maglie, a quei colori, alle trasferte in autobus e a quella festa
in quel 5 maggio del 1987, e ripensare a quei momenti vuol dire rivisitare una passione che coinvolgeva tutti e che sembrava destinata a non esaurirsi, un
sentimento che invece molti avrebbero dimenticato, ed anche in fretta, come le cose della vita. Mi
capita spesso di ripensare a quei caroselli e a quei volti, alla lungimiranza di Pino
Foti, a quella intuizione che riassumeva più di tante altre cose l’aria che si
respirava in quegli anni. Era un Aspromonte assai diverso quello del 1979, come
d’altronde lo erano anche la Calabria e l’Italia, piene di fermenti, di paure,
di tensioni ma anche di tanta voglia di vita, con un occhio sempre proiettato
al futuro, uno slancio ed una passione che oggi rintraccio sempre più a fatica.
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