Qualche sera addietro di
rientro da Roccella sono passato casualmente di fronte al campo sportivo
di Locri e costeggiando la struttura ho avvertito di colpo l’esigenza
di fermare l’auto per fare quattro passi. Sarà stata la luce soffusa del
tramonto o forse i tanti pensieri che in quel preciso momento mi
affollavano la testa, non so, una cosa è certa, guardare il muro di
cinta di quel campo mi ha riportato alla mente ambientazioni di tanti
anni fa che mi hanno fatto sentire quella situazione stranamente familiare, e per un attimo è stato come se il tempo non fosse
mai trascorso.
Ho percorso in solitaria l’intero perimetro del campo, guardandomi intorno, guardando i palazzi e gli alberi e tutto mi è sembrato immobile, fermo nel tempo, cristallizzato a ventotto anni prima. Ripresa la via di casa la mente è tornata indietro nel tempo fermandosi al 1987. Inizia proprio in quell’anno il mio personale rapporto con Locri, una città che si distingue dalle altre della costa ionica per diversi motivi, di certo per le antiche vestigia che parlano di una grecità fiorente, ma senza voler scomodare le pietre dell’antica Epizefìri, in tempi più recenti sicuramente anche per una tradizione calcistica di assoluto blasone nel panorama regionale. E' stato proprio il calcio la prima cosa che ho assaporato di Locri, una realtà che non conoscevo affatto e che allora, nella seconda metà degli anni ottanta avvertivo più lontana ed irraggiungibile di quanto non fosse. Ho imparato proprio in quegli anni che a Locri il calcio non è come nel resto del circondario, da quelle parti ha un sapore particolare, da oltre un secolo è sinonimo di una passione. Quella del Locri è una storia che nasce appena un anno dopo il terremoto che distrusse Reggio e Messina, una storia su cui mi piacerebbe aprire una doverosa finestra dedicando alcune puntate della mia rubrica ad aneddoti, facce, e situazioni non solo sportive, che partono proprio nel 1987 e finiscono nei miei ricordi appena due anni dopo. Se penso a quegli anni, al Locri ed a quei campionati, penso ad un’esperienza che non dimenticherò facilmente, ad un calcio che oggi non c’è più caduto sotto i colpi di una disaffezione pericolosamente contagiosa, penso ancora a quel muro di cinta ed alla prima volta che lo costeggiai con papà, Don Ciccio e Pino Foti ascoltando i cori del tifo organizzato e la voce dello speaker che elencava i nomi degli sponsor, situazioni cui fino ad allora avevo assistito solo ai tempi del Catanzaro in serie A, insomma un’altra dimensione, tutto un altro calcio rispetto a quello cui eravamo abituati dalle nostre parti appena 60 km più a sud, dove da sempre si galleggiava tra la terza ed al massimo la prima categoria. Per iniziare a raccontarvi questa storia, analizzandola dalla mia personale prospettiva, partirò da una data ben precisa, da una classifica e da un elenco di nomi che i meno giovani, amanti del calcio di casa nostra ricorderanno di certo.
Ho percorso in solitaria l’intero perimetro del campo, guardandomi intorno, guardando i palazzi e gli alberi e tutto mi è sembrato immobile, fermo nel tempo, cristallizzato a ventotto anni prima. Ripresa la via di casa la mente è tornata indietro nel tempo fermandosi al 1987. Inizia proprio in quell’anno il mio personale rapporto con Locri, una città che si distingue dalle altre della costa ionica per diversi motivi, di certo per le antiche vestigia che parlano di una grecità fiorente, ma senza voler scomodare le pietre dell’antica Epizefìri, in tempi più recenti sicuramente anche per una tradizione calcistica di assoluto blasone nel panorama regionale. E' stato proprio il calcio la prima cosa che ho assaporato di Locri, una realtà che non conoscevo affatto e che allora, nella seconda metà degli anni ottanta avvertivo più lontana ed irraggiungibile di quanto non fosse. Ho imparato proprio in quegli anni che a Locri il calcio non è come nel resto del circondario, da quelle parti ha un sapore particolare, da oltre un secolo è sinonimo di una passione. Quella del Locri è una storia che nasce appena un anno dopo il terremoto che distrusse Reggio e Messina, una storia su cui mi piacerebbe aprire una doverosa finestra dedicando alcune puntate della mia rubrica ad aneddoti, facce, e situazioni non solo sportive, che partono proprio nel 1987 e finiscono nei miei ricordi appena due anni dopo. Se penso a quegli anni, al Locri ed a quei campionati, penso ad un’esperienza che non dimenticherò facilmente, ad un calcio che oggi non c’è più caduto sotto i colpi di una disaffezione pericolosamente contagiosa, penso ancora a quel muro di cinta ed alla prima volta che lo costeggiai con papà, Don Ciccio e Pino Foti ascoltando i cori del tifo organizzato e la voce dello speaker che elencava i nomi degli sponsor, situazioni cui fino ad allora avevo assistito solo ai tempi del Catanzaro in serie A, insomma un’altra dimensione, tutto un altro calcio rispetto a quello cui eravamo abituati dalle nostre parti appena 60 km più a sud, dove da sempre si galleggiava tra la terza ed al massimo la prima categoria. Per iniziare a raccontarvi questa storia, analizzandola dalla mia personale prospettiva, partirò da una data ben precisa, da una classifica e da un elenco di nomi che i meno giovani, amanti del calcio di casa nostra ricorderanno di certo.
La data è
il 24 aprile 1988, la classifica è quella finale che recita Locri 46,
Gioiese 42, San Luca 37, i nomi o se preferite i cognomi, eccoli di
seguito: Etna, Alia, Carabetta, Scorrano, Foti, Sestito, Codispòti,
Silvano, Galluzzo, Giorgi, Carìto, allenatore Sandro Stivala. È proprio
vero, se ci penso quello era davvero un altro calcio, con la vittoria
che valeva ancora 2 punti, col portiere che poteva intervenire con le
mani sul retropassaggio del compagno e soprattutto col campionato di
Promozione che rimaneva ancora il massimo torneo regionale. Lo ricordo
bene quel pomeriggio del 24 aprile di 27 anni fa, ricordo il comunale
invaso da migliaia di persone, cori, bandiere, striscioni, tutti uniti
contro l’unico ed ultimo ostacolo al ritorno del Locri in
Interregionale, l’avversario da abbattere in quella domenica di
primavera era l’Hudax Ravagnese del presidente Bruciafreddo. Ricordo che
in quel pomeriggio per me dal sapore decisamente surreale, in quel
clima di festa sfrenata, a mettere il sigillo matematico su un torneo
vissuto sempre ai vertici non fu uno dei soliti finiti sul taccuino dei
marcatori durante tutta la stagione, a chiudere le ostilità mandando a
casa il Ravagnese e mettendo di fatto la parola fine al torneo fu un
difensore, fu Peppe Alia che all’88' fece quasi venire giù le tribune
del comunale stipate all’inverosimile. Che il Locri di quegli anni sia
di certo un bel ricordo e non solo per me, questo appare evidente, meno
evidente è il significato della mia presenza a Locri in quegli anni. Il mistero è subito svelato. Tra i nomi
che vi ho elencato ce n’è uno in particolare che giustifica la mia
presenza e quella di tanti tifosi bovesi da quelle parti. Giuseppe Foti,
da Bova, per i tifosi del Locri semplicemente Peppe Foti, ha appena diciotto anni, è giunto a Locri l’estate prima, dopo una
breve esperienza in prima categoria e molti lo indicano già come una
sicura promessa del calcio locale. Giuseppe è un ragazzino esile, piedi buoni e tecnica sopraffina, una mezza punta come si diceva
allora, un ambidestro che riesce a disorientare le difese avversarie con
giochi di prestigio che infiammano le platee. Non ci mette molto a diventare l’idolo della tifoseria locale lasciando una firma
indelebile su quell’annata straordinaria, lo fa con assist, gol di
straordinaria fattura e giocate che tracciano il profilo di un atleta
sicuramente di altra categoria. Eccolo il mio legame con Locri e
soprattutto con il Locri di quegli anni, un’avventura trascorsa in giro
per i campi della provincia a seguire Giuseppe e forse anche un sogno,
con quella giusta punta d’orgoglio che ci coinvolgeva tutti, per quel
ragazzo che portava il nome di Bova fuori dai confini comunali facendolo
conoscere come luogo capace, tra le altre cose di sfornare anche
talenti sportivi. Con Giuseppe ogni domenica un codazzo di amici e
parenti, onnipresenti, da Delianuova a San Luca, passando per Gioia
Tauro e Chiaravalle. Sono tanti gli aneddoti legati a quella cavalcata
ed in particolare ad alcune gare che più di altre hanno segnato dei
passaggi fondamentali. Nelle prossime puntate ne voglio ricordare
qualcuno, lo farò cercando di unire l’aspetto squisitamente sportivo a
quello umano, con i risultati del campo a cui faranno da cornice volti e
nomi che mi sono rimasti in testa e che tornano
puntuali a fare capolino ogni qualvolta con Giuseppe ricordiamo quegli
anni. Di quella comitiva che si muoveva tutte le domeniche, ormai siamo
rimasti in pochi, di quel calcio purtroppo è rimasto poco o nulla
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