(Il Sindaco Pasquale Foti ed il Vescovo Mons. Ferro in Piazza Roma a Bova)
È uggioso il
tempo oggi su in montagna, in questo pomeriggio di inizio giugno che profuma di
scirocco e terra bagnata, in una di quelle giornate da dejavù ricorrente. Sono
tanti i pensieri che si rincorrono in giornate come questa, apparentemente
monotone, silenziose, sempre uguali, dove a scandire il tempo c’è solo il
rintocco del campanile della chjiesa, talmente usuale da essere
diventato nel tempo un indispensabile complemento d’insieme. Pensavo proprio a
quel rintocco oggi pomeriggio mentre risalivo la via Vescovado, pensavo che è
sempre lo stesso, quello che sentivo da bambino e che continuo a risentire
identico, mentre intorno tutto è cambiato, nei volti, nei modi, nei ritmi e negli
affetti.
È curioso come la storia ridisegni avvenimenti, sentimenti e persone,
modellandole nell’essenza e a volte cancellandole come non fossero mai esistite.
Giunto di fronte alla chiesa del Carmine ho alzato gli occhi osservando l’angolo
delle scale, l’ultima rampa prima della cattedrale ed ho pensato che la, una volta
c’era il portone del vecchio Episcopio, un’opera simbolicamente preziosa,
spazzata via in nome di un progresso che
non poteva e non voleva più attendere, un moto di rinnovamento traumatico e veloce che nel cemento ha trovato il suo strumento,
la sua più plastica rappresentazione.
Freddo, liquido, impietoso il cemento nel suo
incedere, coprendo secoli di storia e riscrivendo un copione che non sarebbe
mai stato più lo stesso. Riflettendo però, a ben guardare i mutamenti della
storia, mi accorgo che non sono mai ne casuali ne repentini e di essi,
riavvolgendo il nastro si scorgono nitidi i prodromi ed i contorni. Facciamo un
passo indietro. Prima che le ruspe facessero scempio, non senza fatica, di
quella possente struttura poggiata sulla roccia, Bova è ancora la Chòra, il
centro più importante per antonomasia, faro culturale di un’area che non si
chiama Bovesìa certo per caso. Nell’immediato entroterra però qualcosa ha iniziato
a muoversi ormai da circa un decennio e quella fuga precipitosa degli africoti
verso il mare rappresenta quasi un infausto presagio. Cercare le cause della
lenta eutanasia della montagna, vorrebbe dire avventurarsi in interminabili dibattiti, ma certamente tra i tanti accadimenti in cui
rintracciare le cause, la spoliazione calcolata della curia vescovile merita un
capitolo a parte, segnando in modo indelebile un prima e un dopo. Sono due le date segnate in calce, la prima e
forse più importante è il 1973 data dell’unione delle diocesi di Bova e Reggio
in “Persona Episcopi”, espressione usata dalla Santa Sede per indicare l’unione
di due diocesi sotto un unico ministero episcopale, lasciando però inalterate
le strutture fisiche e burocratiche. L’altra data è il 1986. Lo ricordo bene
quell’anno, soprattutto per quei ricordi da bambino legati ad una
indimenticabile nevicata, una delle più abbondanti che avessi visto fino allora
e che ci colse all’uscita dalla rituale messa di mezzanotte in cattedrale. Ma
più che per la nevicata il 1986 va certamente ricordato per essere l’anno che
segnò l’aggregazione della diocesi di Bova all’Arcidiocesi di Reggio. Il colpo
di scure non fu certo repentino, le avvisaglie c’erano ormai da tempo. Certo
non tutti erano dello stesso avviso, ma il percorso sembrava cosa ineluttabile
in un frangente storico dove la corsa forsennata verso il mare appariva come l’unica
e più logica soluzione nella ricerca di un futuro nuovo per il quale quei monti,
quelle case e quelle stradine erano palcoscenico ormai troppo stretto e troppo
scomodo. L’ora x scatta il 30 settembre 1986 giorno in cui il decreto
Instantibus Votis della Congregazione per i Vescovi sancisce la definitiva unificazione
delle diocesi di Bova e Reggio. Nonostante fosse nell’aria da tempo, la notizia
fa scalpore, getta una pesante ombra sul futuro di un centro che respira in
modo sempre più cupo l’aria della smobilitazione. A quel punto, il sindaco
Foti, in un estremo ultimo tentativo, scrive al Santo Padre manifestando di suo
pugno quella che definisce “l’amarezza e il dolore con cui il popolo ha appreso
la notizia”. Nelle parole di Pino Foti e nella risposta della santa sede si
legge in modo nitido il sentimento di allora, in quelle righe intrise di
tristezza e malcelata rassegnazione ed in quella risposta telegrafica e
serafica c’è tutta l’ineluttabilità di un decennio che molto ha sacrificato in
termini umani, culturali e storici.
Di seguito
riporto il testo integrale della lettera scritta da Pasquale Foti al Santo
Padre, seguita dalla risposta del Vaticano a firma del Segretario di Stato,
Cardinale Agostino Casaroli. Corrispondenza epistolare tratta dall'archivio perosonale del Prof. Bernardo Chilà e per la quale ringrazio il figlio, l'amico Totò Chilà per anni caporedattore ed autorevole firma de "L'Osservatore Romano".
Lettera del
sindaco di Bova a Papa Giovanni Paolo II
"Beatissimo
Padre, mi permetto nella qualità di Sindaco di Bova di esternare alla Sua
Paternità l'amarezza ed il dolore con il quale il popolo di questa nobilissima
ed antichissima città ha appreso la soppressione della Diocesi di Bova.
Intendo, perfettamente come non sia il caso, anche per ovvie ragioni convenevoli,
di dar corpo a forme di protesta che, forse non darebbero nemmeno il senso di
sgomento che colpisce le anime più che le ragioni di fierezza di questo popolo
che, proprio nella Diocesi, vedeva uno dei più fulgidi riferimenti di quella
che è stata e rimane una delle storie più ricche di tradizioni, di cultura e di
altissima spiritualità. Bova, tra l'altro, si appartiene ad uno dei Comuni di
minoranza etnica nei quali la conservazione dei valori culturali e spirituali
rappresentava motivo di ulteriore speranza per vedere finalmente riconosciuto,
attraverso l'opera delle istituzioni, comprese quelle ecclesiali, l'attualità e
la funzione della minoranza e del suo patrimonio nel contesto dello sviluppo
complessivo di questo territorio. Consegnando alla Paternità della Santità
Vostra questa profonda amarezza e questo stringente dolore del mio popolo e
della popolazione della Diocesi , che è ovviamente anche testimonianza di fede
e di vincoli non disgiungibili con la Cattedra di Pietro, mi permetto rivolgere
umilissima preghiera perché nel contesto dell'articolazione delle nuove
strutture diocesane, Bova, Diocesi esistente già nel V secolo, abbia, almeno un
Vescovo ausiliario che conservi al popolo l'immagine di una Chiesa vicina e
contigua ai problemi della sofferenza, dell'emarginazione, della solitudine e
premi questo tenace legame con la tradizione cattolica della quale Bova si fece
portavoce ed eco nella storia della fase greco antica e di cui conserva intatto
il patrimonio culturale, morale ed artistico. Sicuro della Paterna
considerazione della Santità Vostra nel prendere a cuore questa estrema istanza
e preghiera che io rivolgo a nome di un popolo intero, prostro al bacio del S.
Anello con profonda speranza e fiducia".
Dalla
Residenza Municipale, li 10. 10. 1986
Il Sindaco
Dott. Pasquale Foti
(Giovanni paolo II con il Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli)
Risposta del
cardinale Casaroli
"E' pervenuta
la lettera che Ella ha indirizzato al Santo Padre in data 16 ottobre scorso, in
merito alla piena unificazione della Diocesi di Bova all'Arcidiocesi di Reggio
Calabria, stabilita nel recente documento della Congregazione per i Vescovi
circa la denominazione e la sede delle Diocesi in Italia. Confido che una più
completa informazione, che nel frattempo Le sarà stato possibile di ottenere
circa la natura e le conseguenze del provvedimento abbiano consentito a Lei e
alla popolazione di Bova di superare le prime reazioni negative. Come noto, la
decisione della S. Sede è stata dettata unicamente da criteri ecclesiali.
Ritengo comunque di far cosa non sgradita unendo copia dell'inserto
dell'Osservatore Romano in data 9 ottobre 1986, che contiene elementi utili per
una più adeguata e serena valutazione. Profitto dell'occasione per inviare a
Lei, Signor Sindaco, ed ai membri del suo Consiglio Comunale un deferente
saluto e l'espressione della mia sincera stima". Cardinale A. Casarol, Città del
Vaticano 17.10.1986
Rileggo
questa corrispondenza ed in quelle lettere ingiallite rintraccio
sentimenti, ansie e paure che pensavo cancellate e che invece tornano alla
mente lucide, puntuali, graffianti ed opprimenti come e più di allora, più di quando
con animo da bambino non riuscivo a coglierne gli aspetti profondi. Oggi le
rivedo assai più nitide quelle sfumature che avrebbero ridisegnato il futuro
cancellando molto di un glorioso passato. La rivedo la faccia di Pino Foti, oggi
come allora, passionale, con quelle espressioni figlie di un animo
illuminato. Conoscevo bene le sue mimiche facciali, i suoi sorrisi e le sue
smorfie di disappunto, quelle che hanno segnato i periodi bui, scolpiti ancora
nella mente e nelle coscienze di tanti, sfumati invece troppo in fretta negli
occhi di tutti quelli che hanno dimenticato la propria personale storia.
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