giovedì 13 aprile 2017

DALLA PAESOLOGIA DI FRANCO ARMINIO A KALABRIA EXPERIENCE. STORIE DI UN SUD IN CAMMINO



“La bellezza di certi luoghi, quella vera non effimera, non sta tanto in quello che l'occhio a prima vista riesce a cogliere rimanendo affascinato, quanto in quello che ogni luogo racchiude e rappresenta plasticamente nelle sue molteplici forme e nei suoi silenzi, si perché anche i silenzi in certi luoghi se li ascolti con attenzione ti raccontano di un  tempo in cui ancora non avevano scacciato via le voci”

Ultimamente mi piace riprendere alcuni miei post da Facebook perchè nel farlo mi accorgo come una volta messi in fila prendano forma come un puzzle disegnando  una mia personale visione del mondo e delle dinamiche che mi circondano, più ampia rispetto a quella che pensavo di possedere. Osservare i fenomeni sociali e la loro veloce evoluzione è però una pratica che può fare male se non si possiedono i giusti anticorpi, perché aprendo gli occhi o se vi viene più comodo chiudendoli nel tentativo di immaginare il tutto, ci si può rendere conto che nulla è come prima e soprattutto nulla è come lo avremmo immaginato. Il sud in generale ed in particolare quella parte di entroterra vittime nell’ultimo quarantennio di un’emorragia umana e culturale senza precedenti  rappresentano meglio di ogni altro luogo la cartolina di un paese che corre veloce dimenticando le periferie, salvo poi dire che da quelle periferie vorrebbe ripartire per ritrovarsi. 
 Paesi svuotati, piegati sotto i colpi di un’indifferenza che ha radici profonde e dure da estirpare. Nonostante tutto, nonostante lo scoramento di chi anagrafe alla mano ha vissuto sulla propria pelle la metamorfosi, portandone con se ferite profonde e invisibili, ci sono occasioni in cui mi capita di pensare che decenni di marcia verso il sud delle marine e verso il nord delle metropoli non sono riusciti a spegnere del tutto l'ideale sogno di un viaggio a ritroso, quello che tanta gente percorre controcorrente riannodando il filo mai spezzato della propria storia, lontana dai non luoghi, alla ricerca dei luoghi identitari. Pensare che il duemiladiciassette è l’anno dedicato ai borghi è una immaginaria speranza, la stessa che provo ogni volta che assisto a certi riti, a certe consuetudini, a certi momenti solenni che nonostante tutto continuano a ripetersi da sempre. Sono in tanti a sostenerlo, molto più di quanto non si pensi. È tanta la gente che non è mai partita, tantissima quella andata via col lutto nel cuore, tanta anche quella che nutre da sempre la speranza di tornare a riappropriarsi della propria identità e della propria storia. Franco Arminio ad esempio, scrittore, poeta, unico paesologo al mondo è di Bisaccia in provincia di Avellino, uno dei tanti centri che nel 1980 provò sulla propria pelle lo sfregio del terremoto, in quell’Irpinia sventrata e ridisegnata solo molti anni dopo nella sua geografia umana, come accaduto in tante altre italie di periferia. Parlando di Arminio, Roberto Saviano lo definisce “Il miglior poeta che abbia mai raccontato il terremoto”. “Bisogna parlare di quello che i paesi sono adesso - dice Arminio - bisogna farlo partendo dalle percezioni più che dalle opinioni. Ci vogliono risorse e ci vogliono visioni, intimità e distanza, scrupolo e utopia. Le aree interne, le terre alte dell’Italia non sono luoghi minori, sono luoghi enormi. E solo una clamorosa miopia geografica porta a renderle invisibili pur essendo il cuore della nazione”. Ha ragione Franco Arminio quando parla di clamorosa miopia, lui che si è inventato la paesologia, una cosa che a molti per capirla servirebbe prima allenare l’animo al particolare. Ad Aliano in provincia di Matera ogni anno a fine agosto si celebra il festival della paesologia, non una kermesse artistica, nulla di definito, più un elogio del sacro, di quella pratica sacra dello stare insieme vivendo il borgo che in quei giorni riprende vita. “La paesologia – dice Arminio - ha capito che i luoghi sono importanti. Bisogna guardare quello che ci facciamo con i luoghi, non può essere solo una faccenda di urbanisti o di sociologi”. Ai borghi, ad una parte di sud marginale e dolente, spezzata e spazzata nella sua essenza, serve gente come Franco Arminio, capace di raccontare, capace di intuire e leggere il bello anche dove sembrerebbe difficile leggerlo, nei volti degli anziani, nei muri sgretolati, nelle vecchie insegne arrugginite e consumate dal tempo. Lo capisco bene Franco Arminio, quello prova, la sua voglia di raccontare quello che vede cercando di trasferire un sentimento attraverso le immagini, i versi, i libri, i post sui social. La nostra è una terra che chiede di essere raccontata, di essere capita, di essere vissuta non più come un tempo, una terra che necessita di una profonda revisione innanzitutto culturale, nel modo di intendere le sue forme e le sue movenze, adattandole ad una società che potrebbe tornare sui suoi passi e forse in parte lo sta già lentamente facendo, attribuendo a questi luoghi una  nuova missione ed un nuovo ruolo sociale. Spero di avere ospite al più presto Franco Arminio nella nostra terra e col lui parlare di emozioni, di speranze, di suggerimenti, da condividere con i tanti che in questa terra vedono la propria speranza. 
 Ci sono tanti soldati partiti per una crociata silenziosa e imponente, tanta gente comune che da voce ai propri sentimenti. Carmine Verduci ad esempio non è uno scrittore, ne un poeta, è solo un giovane, uno dei tanti che richiamati dall’eco della terra, la annusano, la toccano, la guardano con occhi innamorati, scoprendola e invitando tanti altri a riscoprirla. Negli ultimi anni Carmine si è inventato Kalabria Experience, una vera esperienza di riscoperta e di simbiosi con la terra e con i centri abbandonati dalla locride e dell’Area grecanica della provincia di Reggio Calabria. Mi piace immaginare l’impresa di Carmine e dei suoi compagni di avventura come un pellegrinaggio sensoriale nei luoghi dello spopolamento, come una catarsi necessaria, un periodo di rigenerazione e riflessione. Carmine è riuscito in un intento mica semplice, quello di indirizzare tanta gente verso nord, dallo ionio verso l’entroterra, su quelle direttrici a pettine che disegnano in modo sconnesso la fragile rete viaria aspro montana. Tutti in marcia verso luoghi abbandonati da decenni portando  per la prima volta tanta gente a scoprire luoghi mai visti a due passi da casa, ma soprattutto è riuscito ad accendere una luce in un mare di buio, il buio dell’indifferenza e della superficialità. Anche Carmine ne è convinto, certi luoghi vanno letti, capiti e poi raccontati e per questo ci vuole chi li sappia leggere e capire, trovando la forza di raccontarne le ferite e cosa le ha prodotte. Accostare Franco Arminio a Carmine Verduci non è un azzardo, tanto più che l’accostamento sfugge qualsiasi presunzione o termine di paragone artistico o letterario, anzi a ben riflettere non è neanche un accostamento è solo una pratica rigenerante che mi sono voluto regalare per convincermi di non essere solo, per convincermi della resistenza di un certo sentimento. Da un po di tempo mi sento meno solo e poco importa se si dovesse trattare di un’illusione perchè anche illudersi, in compagnia diventa meno triste.    

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