“Pur camminando faticosamente verso Bova,
la Città sembrava un vascello fantasma, mai vicina. Ci sono punti di
osservazione attorno a questo nido di aquila, da cui guardando si vede la
Sicilia che galleggia al limite dell’orizzonte con una grandezza imponente, la
dove l’avrebbe messa esattamente un pittore”. I versi di Lear fanno da incipit
ad un ricercato affresco che diventa tributo ad un centro, alla sua storia ed
alla sua gente e nel contempo occasione di analisi e riflessione sul presente
ma soprattutto sul futuro di un angolo di sud che di ammainare bandiera sembra
non avere voglia.
L’affresco/tributo è quello dedicato al borgo di Bova da
Camilla Baresani dalle colonne di “Io Donna” inserto rosa del Corriere della
sera (http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2016/11/26/bova-la-postina-non-suona-due-volte/).
La cartolina traccia i contorni quotidiani di un preciso angolo di Sud e lo fa
da una prospettiva assai particolare, raccontandolo attraverso gli occhi di chi
lo vive quotidianamente per lavoro anziché da turista piuttosto che da
residente. Il titolo scelto, “A Bova la postina non suona due volte” è certo
una simpatica parafrasi celebrativa della famosa pellicola dell’81 con Jack
Nicholson e Jessica Lange,
ma è anche è soprattutto il frutto di un lavoro
descrittivo che fa seguito ad un faccia a faccia tra la cronista e le due
portalettere del paese. Caterina e Stefania negli anni hanno imparato a
conoscere dopo le vie, le scorciatoie ed i numeri civici anche la gente e le
loro abitudini e per questo sanno cogliere con occhio attento sfumature e
dettagli di un mondo dove l’arcaico abbraccia il moderno in una spirale di cui
non riesci mai rintracciare inizio e fine. Mi sono sempre chiesto cosa
percepisca il visitatore, ho sempre cercato di immaginare che gusto abbia
quella percezione particolare, rapida, a pelle e quel gusto l’ho ritrovato solo
viaggiando, perché in casa propria l’autoanalisi è sempre pratica ardua,
falsata com’è da sentimenti e legami affettivi con persone e con luoghi che
rappresentano idealmente quel filo mai spezzato col nostro vissuto. Ho
osservato più volte ed in modo attento la cartolina offerta dalla Baresani per
non farmi sopraffare dalle logiche del campanile e riflettendo ho capito che
non c’è preconcetto nelle parole della cronista come nelle sensazioni di
Caterina e Stefania. Certo il ventre suggerirebbe l’aggiunta di qualche
ingrediente da affiancare a quel pezzo da museo così ben descritto, con i suoi
quadretti, le foto dei Papi e quelle dei cari defunti, o i fichi e le passate
di pomodoro piuttosto che il basilico ed i peperoncini in bella mostra nei
cortili delle case”, perché questa parte di meridione è anche l’avvilimento
delle badanti che non trovano un corso o una via per lo shopping dove
passeggiare diventando col tempo cartina di tornasole dell’angoscia e della
rassegnazione di un sud che corre verso
una meta indefinita, ma è certamente anche tanto altro, perché
guardando l’altra faccia della medaglia ti accorgi che certi luoghi sono
diventati, pur come realtà di nicchia anche simbolo di un’inversione di
tendenza in atto da tempo, un percorso che oggi fa riscoprire alle
giovani coppie la bellezza di non dover andare via per forza. Potremmo dire
questo e molto altro ma per onestà intellettuale voglio dare ragione alla
Baresani quando dice che a sentire presentata in certi termini la storia delle
badanti, avverti una sensazione di tristezza, così come ha ragione anche quando
sottolinea che l’atmosfera che respiri in paese è tutt’altro che dimessa
consegnandoci così un parallelismo con i luoghi terremotati dell’Umbria e delle
Marche, ha ragione è come, non fosse altro perché l’assonanza che percepisco
assai nitida in questa analogia non è certo con le macerie e con la solitudine,
ma con l'attaccamento l’ostinazione di quella gente che non vuole lasciare
case, cose ed affetti. Ecco perché la mia personale chiave di lettura del pezzo
è assai positiva, perché in esso mi piace rintracciare un autentico messaggio
di speranza, chiaro proprio nel suo finale, quello che va oltre la semplice poesia regalata
dai fermo immagine del borgo, con quel neretto volutamente evidenziato che ci
sottolinea l’importanza di “Un’Italia da perseverare e soprattutto da
riscoprire”.
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