Saluti, partenze, promesse di rivedersi
magari a Natale o alla peggio la prossima estate, insomma il solito copione di
una stagione che cala i titoli di coda, lo dicono le auto, ne conto sempre meno
lungo via IV Novembre, lo dice l’aria pungente che su da noi in Aspromonte
costringe al giubbino ed alla felpa. Considerando tutto questo ed aggiungendoci
anche la stanchezza di molte notti bianche o se preferite in bianco, stasera
sono rimasto a casa a pensare. È strana l’atmosfera stasera, è una di quelle
sere in cui ti passano in testa un sacco di cose che non riesci a mettere bene
in ordine, una di quelle sere durante le quali molte, forse troppe cose sembrano
suggerirti un deja vu dal retrogusto amaro.
La luna è luminosissima, la sto osservando da un pezzo da dietro la finestra,
la guardo perché sembra suggerirmi qualcosa di cui non riesco a scorgere bene i
contorni, poi di colpo la radio passa “Tru
Blue” di Madonna, un pezzo dell’86 che i meno giovani conosceranno di
sicuro, e tutto mi torna alla mente chiarissimo come se il tempo non fosse mai
passato. Mi sale un brivido lungo la schiena mentre penso che è davvero
pazzesco, c’erano la stessa luna e la stessa canzone mentre mi trovavo
esattamente nello stesso posto, saranno state circa le 23:00 del 22 agosto del
91, la sera dopo sarebbe stata una di quelle che molti di certo non avrebbero
mai più dimenticato. Maria era affacciata al balcone da circa un’oretta ad
attendere che i suoi due fratelli facessero rientro a casa dopo una cena con
amici, giù in marina in una casetta in campagna, a Peristerèa, una contrada
rurale del comune di Bova Marina che si raggiunge attraverso una strada assai
improbabile che risale dalla statale 106 ionica per circa 10 km costeggiando il
letto della fiumara San Pasquale e percorrendo nell’ultimo tratto anche il suo
alveo. Il copione era quello di sempre, la carne di capra, il salame ed i
formaggi fatti in casa, e poi le solite facce, i soliti sguardi quelli che
Ciccio e Pino incrociavano da sempre, insomma tutto come al solito, e invece
no, perché quella non sarebbe stata una sera come le altre. La mezzanotte è
passata da un pezzo e Maria è ancora su quel balcone, ci rimarrà fin verso le
due, fino a quando un codazzo di amici e conoscenti salirà a raggiungerla per darle
una notizia che lei in realtà, non si sa per quale motivo sembrava avere
intuito da un pezzo, come oppressa da un oscuro presagio. Il solito copione,
quello di cui vi parlavo, cambia in modo inatteso e drammatico verso le 23:40.
La cena giù nelle gole del San Pasquale è appena finita e i due fratelli si
avviano verso la 131 grigio metallizzato di Pino per fare rientro a casa, è a
quel punto che da dietro un muretto di contenimento spuntano degli uomini che
impugnano fucili e pistole, i bersagli sono proprio i due fratelli, Ciccio cade
accanto all’auto colpito prima al fianco e poi finito col rituale colpo di
grazia, stessa sorte per Pino che rimane seduto al volante con un piede ancora
fuori dall’abitacolo. I fucili da caccia caricati a pallettoni e le pistole dei
killer tuonano in una landa desolata e solitaria lanciando un lungo eco cui fa
seguito un silenzio assordante. È una Calabria ancora profondamente bagnata dal
sangue quella di quegli anni, sono anni dove i conti in sospeso si chiudono col
piombo, senza tanti fronzoli, con sentenze che non prevedono appello e quei due
cadaveri che sporcano di rosso una notte di fine estate sono le ennesime
vittime di una mattanza che solo in provincia di Reggio dall’inizio dell’anno
ha toccato quota 186, ma quelli non sono morti qualsiasi, Pino e Ciccio sono
Pasquale, solo per gli amici (Pino) e Francesco Foti, il primo, sindaco di Bova
per ben trent’anni fino al maggio dell’anno prima ed il secondo dipendente
comunale responsabile dell’ufficio ragioneria, insomma un duplice delitto non
di poco conto, uno di quelli destinati a fare clamore quasi quanto quello del
giudice Antonino Scopelliti ammazzato appena quindici giorni prima, e invece
stranamente nessun clamore, nessun terremoto e ovviamente manco a dirlo nessun
colpevole, tutto mestamente anonimo, come se trent’anni di vita bovese, di
governo della cosa pubblica, di storia personale divenuta nel tempo inevitabilmente
collettiva, fossero terminati nell’indifferenza generale, quasi come se tutto
fosse di colpo evaporato al tuonare delle lupare. Continuo a guardare la luna e
col passare del tempo mi tornano alla mente momenti che pensavo di avere
rimosso. I ricordi partono dalle 12:30 dello stesso giorno di ventiquattro anni
fa. Ero sul divano di casa in attesa del pranzo quando si aprì la porta e da
dietro la tenda comparvero le sagome di mio padre e di Pino Foti che io, per
giusta imposizione proprio di mio padre chiamavo rigorosamente Dottore e
proprio lui in quel momento, sorridendomi come era solito fare mi chiese se mi
andava di accompagnarlo ad una cena, dicendomi che il fratello sarebbe sceso a
Bova Marina un po prima per altri impegni, ci avrebbe raggiunti poi alla cena.
Io risposi che non potevo perché pomeriggio al campo sportivo avremmo giocato
la classica partita di fine estate, quella tra scapoli ed ammogliati cui
avrebbe fatto seguito la cena, una rapida occhiata e il Dottore mi saluta
dicendo, ok dai non fa niente, allora buona partita e buona cena, ci vediamo
domani. Non avrei mai immaginato che sarebbe stata l’ultima occasione di vedere
quel viso ed ascoltare quella voce. Ricordo ancora quella sera, avevamo
allestito una lunga tavolata nel piazzale di fronte l’ufficio postale e a quel
tavolo sedeva con noi anche Rocco, il figlio di Ciccio, il nipote di Pino per
intenderci. Mezzanotte e trenta era passata da un pezzo quando ormai
stanchissimo salutai guadagnando la via di casa in compagnia di Mario, un mio
compagno di scuola che ogni estate veniva a trascorrere qualche settimana da me.
A letto su in mansarda si chiacchierava prima di prendere sonno, si parlava
della scuola, tra meno di un mese sarebbe iniziato l’anno fatidico della
maturità. Non ricordo a che punto si sia interrotto il discorso, evidentemente
il sonno fu così pesante che del trambusto di quella notte non avvertimmo
nulla, non avvertì il pianto di mia madre quando vennero a bussare al portone,
non vidi gli occhi stravolti di mio padre, quelli li vidi solo la mattina
successiva, verso le 7:30 quando venne a svegliarci con la faccia allucinata
dicendoci: “hanno ammazzato Pino e Ciccio”. In quel preciso momento fu come se
si fosse fermato il mondo, come se tutto quello che avevo conosciuto fino a
quel momento fosse scomparso per sempre avvolto da una confusione che non
riuscivo a diradare. Stentavo a realizzare che Ciccio e Pino non c’erano più, non
volevo accettare l’idea di non poter più rivedere quei volti assai familiari
che avevano accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza, mi faceva male
l’idea di non aver più potuto dire loro le tante cose che ancora non avevo
detto, ma soprattutto col passare dei mesi ebbi l’impressione sempre più netta
che si fosse chiuso un capitolo lunghissimo, l’unico che fino a quel momento
avessi conosciuto e questo mi provocava un fastidioso senso di disorientamento.
Si chiudeva dunque e nel peggiore dei modi, sotto una luna di fine agosto, una
parentesi lunga un trentennio, Bova ed i bovesi giravano per sempre una pagina della
loro storia recente che tanti, compreso il sottoscritto non avrebbero mai
potuto dimenticare, ma che molti, forse troppi sembrano avere da un pezzo
dimenticato. Pensavo proprio questo guardando la luna dalla finestra di casa
ascoltando il pezzo di Madonna, pensavo che trent’anni di storia politica e
personale non sono certo pochi, sono un lasso di tempo dove trovato spazio eventi,
volti ma soprattutto rapporti personali, alcuni solidi altri passeggeri e mossi
dall’opportunità del momento, ma tutto sommato, con gli anni ho imparato che
non ci si deve meravigliare, si sa, la gente non è quasi mai grata, quanto gli
viene negato sarà perenne motivo di rancore, quanto gli viene concesso era
invece dovuto, e Pino e Ciccio di concessioni ne hanno dispensate a piene mani
regalando dignità a tanta gente che, a conti fatti, forse non l’avrebbe
meritata. Insomma, verrebbe da dire, morto un Papa se ne fa un altro e la
capacità di riciclarsi non è artifizio
per pochi, anzi, è pratica assai in voga. Lasciamo stare le polemiche,
sarebbero fuori luogo, oggi continuo a guardare dalla finestra, penso che tra
qualche ora saranno 24 anni esatti da quella maledetta sera, continuo a
guardare la luna, chiudo gli occhi ed il pensiero rivolto al cielo fotografa in
modo netto quei due volti sorridenti, quelli che mi accompagnavano fin da
bambino, il cielo, bello come allora, nel frattempo si è popolato di tanta altra
gente, tanti protagonisti di quel lungo periodo, oggi Pino e Ciccio sono un po
meno soli, oggi guardano da lassù un paese profondamente diverso nella forma,
forse un po meno nella sostanza e nel sentimento della gente, quella gente che,
sono certo, Pino, Ciccio e gli altri staranno
guardando facendosi una sonora risata.
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