Più passa il
tempo più mi convinco di una cosa: nella vita ci sono intuizioni che fanno la
differenza, lampi di genio che spostano la lancetta, bloccandola o facendola
schizzare in avanti, deviando spesso e volentieri il corso degli eventi.
Pensare ad un romanzo che descriva e nel contempo riscriva in un certo senso un
capitolo particolare della storia della nostra montagna e della sua gente
dell’ultimo quarantennio è già, di per sé, una grande intuizione; regalare,
poi, al grande pubblico una trasposizione cinematografica di tutto questo
completa l’opera e lo fa in modo a dir poco geniale. Sto parlando,
naturalmente, di Anime Nere,
opera prima dello scrittore Gioacchino Criaco da cui è stato tratto l’omonimo
lavoro cinematografico di Francesco Munzi.
Si tratta di un soggetto interessante, di un contesto cupo e suggestivo carico di simbolismi e di messaggi arcaici non sempre di facile lettura. A tutto questo aggiungere qualche attore di lungo corso e, al suo fianco, qualche emergente che non ti aspetti e che, contrariamente a quanto pensavi, ti svela un altro Aspromonte, fatto di volti scavati, di movenze e gestualità particolari ma anche e soprattutto di ingegno fertile e grande sensibilità. Quando parlo di Anime Nere parlo certamente di un lavoro che, dopo la ribalta di Venezia, fa parlare ancora di sé per le recenti sedici nomination ai David di Donatello 2015, ma mi piace parlarne soprattutto per quelli che definisco i suoi protagonisti per caso, quelli che più di tante altre cose riescono a dare il senso vero di questa terra. Al fianco di attori navigati come Peppino Mazzotta, Marco Leonardi, Barbara Bobulova e Fabrizio Ferracane, il regista ha lanciato gente come Giuseppe Fumo, Stefano Priolo e Pasquale Romeo, piacevoli sorprese che hanno rappresentato un valore aggiunto con la loro carica di semplicità, con una recitazione spontanea e con una naturalezza che gli è valsa l’unanime consenso di pubblico e critica. Era quello che volevano Munzi e Criaco, quel tocco in più che servisse a far percepire l’anima di questa terra, l’anima di una montagna che Gioacchino sente cucita addosso come una seconda pelle. Dall’Aspromonte cinematografico a quello reale il passo non è molto lungo e a qualche giorno di distanza dalla notizia delle nomination ai David torno a trovare Pasquale Romeo, lui che, in Anime Nere, ha incantato pubblico e critica con la sua spontaneità e con quel viso che sembra una cartina di tornasole di questa terra. Se guardo Pasquale da vicino fatico a trovare differenze tra lui e Giuseppe, il personaggio interpretato nel film.
Noi, su a Bova, la primavera non decolla e l’aria è ancora pungente, Pasquale è occupato come sempre a governare il suo gregge ed io come capita qualche volta mi siedo con lui sotto un grosso castagno.
Si tratta di un soggetto interessante, di un contesto cupo e suggestivo carico di simbolismi e di messaggi arcaici non sempre di facile lettura. A tutto questo aggiungere qualche attore di lungo corso e, al suo fianco, qualche emergente che non ti aspetti e che, contrariamente a quanto pensavi, ti svela un altro Aspromonte, fatto di volti scavati, di movenze e gestualità particolari ma anche e soprattutto di ingegno fertile e grande sensibilità. Quando parlo di Anime Nere parlo certamente di un lavoro che, dopo la ribalta di Venezia, fa parlare ancora di sé per le recenti sedici nomination ai David di Donatello 2015, ma mi piace parlarne soprattutto per quelli che definisco i suoi protagonisti per caso, quelli che più di tante altre cose riescono a dare il senso vero di questa terra. Al fianco di attori navigati come Peppino Mazzotta, Marco Leonardi, Barbara Bobulova e Fabrizio Ferracane, il regista ha lanciato gente come Giuseppe Fumo, Stefano Priolo e Pasquale Romeo, piacevoli sorprese che hanno rappresentato un valore aggiunto con la loro carica di semplicità, con una recitazione spontanea e con una naturalezza che gli è valsa l’unanime consenso di pubblico e critica. Era quello che volevano Munzi e Criaco, quel tocco in più che servisse a far percepire l’anima di questa terra, l’anima di una montagna che Gioacchino sente cucita addosso come una seconda pelle. Dall’Aspromonte cinematografico a quello reale il passo non è molto lungo e a qualche giorno di distanza dalla notizia delle nomination ai David torno a trovare Pasquale Romeo, lui che, in Anime Nere, ha incantato pubblico e critica con la sua spontaneità e con quel viso che sembra una cartina di tornasole di questa terra. Se guardo Pasquale da vicino fatico a trovare differenze tra lui e Giuseppe, il personaggio interpretato nel film.
Noi, su a Bova, la primavera non decolla e l’aria è ancora pungente, Pasquale è occupato come sempre a governare il suo gregge ed io come capita qualche volta mi siedo con lui sotto un grosso castagno.
Pasquale,
sai che facciamo? Facciamo finta che ti intervisto. Stai vivendo un momento particolare una ribalta che non ti aspettavi,
quanto ti ha cambiato Anime Nere?
Ok zio,
allora facciamo finta che io ti rispondo.
È vero, nell’ultimo anno e mezzo ho vissuto un momento molto bello e la
cosa curiosa sta nel fatto che è nato tutto per caso. Il regista era alla
ricerca della location giusta per una scena, il caso vuole che io avessi la
chiave del cancello dal quale si accedeva ad una proprietà privata che Munzi
aveva scelto. Vedendomi arrivare in abiti da lavoro, con giacca sulle spalle e
cappello in testa chiede al fotografo di fare qualche scatto di nascosto. Ecco
che, a mia insaputa, vengo opzionato per una parte che poi sarà anche
particolarmente importante. Quanto al fatto se sono cambiato, sinceramente non
credo, certamente ho un’esperienza in più, calcare il tappeto rosso di Venezia
e pensare di apparire sugli schermi nelle sale di mezzo Mondo non è cosa che
capita spesso, ma per il resto sono dove ero prima, la vita continua, proprio
come il messaggio che lancia il film, proprio come quella scena molto simbolica
con cui il regista chiude la pellicola.
Stiamo
andando bene, se non sapessero che sei mio nipote penserebbero tutti ad
un’intervista coi fiocchi, e magari lo è pure. Allora facciamo così: Quanto c’è di vero nel messaggio che Munzi
lancia anche attraverso il tuo personaggio?
Quella del regista è una
ricostruzione molto realistica di una parte della nostra terra, un messaggio
che deve fare riflettere. Il mio personaggio mette in evidenza tanti sentimenti
contrastanti, dal calcolo delle opportunità imposto del contesto criminale alla
sofferenza interiore per il tradimento all’amico del cuore. Grazie ai
suggerimenti di Gioacchino, il regista ha inquadrato perfettamente un contesto
che, se non lo conosci, non riesci neanche ad immaginarlo.
Con questi panorami viene
voglia di rimanere qua per sempre, hai mai pensato alla possibilità di
trasferirti in una grande Città, soprattutto dopo questa esperienza?
Veramente no. Lo sai bene, ne
abbiamo parlato tante volte, questa esperienza è stata bellissima ma questa è
la nostra terra, a Bova e in Aspromonte ho la mia vita, la mia famiglia, i miei
affetti, su queste montagne mi ritrovo come in nessun altro posto. Certo, la
vita non sai cosa ti può riservare, né che opportunità possa presentarti,
dunque sarebbe sciocco mettere limiti. Per il momento sto bene dove sono, poi,
se si presenteranno nuove opportunità, valuterò al momento opportuno.
Adesso ti faccio io una bella domanda: ma tu te ne andresti?
Adesso ti faccio io una bella domanda: ma tu te ne andresti?
Pasquale,
sai che ti dico? Non rispondo affatto. Facciamo meglio un salto a vedere se è
pronta la cena.
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